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Può la finanza Islamica essere crypto-friendly?

Ideati negli anni ’70, i sistemi di finanza islamica conforme alla Sharia – cioè l’Islamic Banking – stanno guadagnando sempre più territorio nel settore e ora guardano anche alle criptovalute. Hanno dalla loro il potenziale di attrarre un numero elevatissimo di clienti, essendo l’Islam la religione che si sta diffondendo più velocemente al mondo.  

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Persino banche e istituzioni finanziarie tradizionali stanno aprendo – o hanno intenzione di aprire – una filiale che si occupi di Islamic Banking per allargare il proprio portfolio di servizi.

Tuttavia, ciò che rende l’Islamic Banking estremamente affascinante è il crossover fra i servizi finanziari che offre e la Legge Canonica islamica, la Sharia.

Difatti, i principi su cui si basa la finanza islamica nascono per evitare qualsiasi forma di attività haram (dannose) – come l’addebito di interessi sulle transazioni, considerati una forma di riba (usura) e, quindi, religiosamente inaccettabile.

In questo caso, la banca si limita ad addebitare un prezzo più alto dell’effettivo valore di mercato, stando a rappresentare i rischi che la banca si assume nell’intraprendere la transazione (questo è particolarmente vero in schemi di tipo murabaha, dove il cliente affida alla banca l’acquisto di un bene per suo conto).

Inoltre, istituzioni finanziarie di varia natura non possono investire in industrie come alcol, carne di suino, gioco d’azzardo o pornografia e devono garantire che ambiguità e speculazioni siano minimizzate in contratti e transazioni.

Ciononostante, la caratteristica più interessante della finanza islamica è l’enfasi sulle transazioni che rappresentano esclusivamente un bene fisico. Perció i nuovi sviluppi nel mondo della crypto-finanza vengono visti come ostili alla Sharia, essendo le crypto un prodotto artificiale e virtuale, partorito dalla finanza moderna, piuttosto che un tradizionale bene fisico.

Essendo le criptomonete sono oggetto di speculazione, sembrerebbe inaccettabile che queste possano sottostare alle leggi del commercio islamico.

Tuttavia, tentativi di bypass di tali regole sono già stati esplorati, anche con un certo grado di successo. OneGram, per esempio, ha ideato una moneta virtuale omonima alla compagnia (abbreviato in OGC, OneGram Coin) supportata da almeno un grammo d’oro per moneta.

Questo significa che la compagnia commercia un bene fisico – e, in particolare, un bene tradizionale per la storia del commercio islamico – attraverso lo scambio di criptovaluta. Molte compagnie ne hanno seguito l’esempio, come la malaysiana HelloGold.

Altre aziende, come Halal Chain, hanno ideato delle criptovalute non collegate ad una riserva aurea, ma a dati su beni ammessi dalla religione islamica. Inoltre, il CFO di HelloGold, Manuel Ho, ha anche introdotto una funzione importante della criptomoneta della compagnia. L’HGT, infatti, prevede solo transazioni che avvengono in un certo periodo di tempo, rendendole meno precarie e affrontando problemi di ambiguità sul prezzo, inappropriati per una compagnia finanziaria islamica.

Pertanto criptovalute conformi regole del commercio islamico già esistono, anche supportate da società di consulenza  che aiutano le compagnie a comprendere se i loro strumenti siano adatti alla legge islamica o meno. Questo é il caso di societá come Al Maali Consulting, di base a Dubai, e Amenie Advisors, con sede a Kuala Lumpur.

Tuttavia, nonostante le società di consulenza possano fornire i loro servizi e approvare le operazioni finanziarie di una compagnia, i governi lcali non hanno il potere necessario per stabilire determinati standard per la finanza e il sistema bancario islamico.

Ciò lascia il dibattito nelle mani di una classe di ‘esperti’ della Sharia e finanza islamica. Alcuni – come il Darul Ihsan Centre, con sede a Durban, o Shawki Allam, il Gran Mufti d’Egitto – credono che le criptovalute non siano religiosamente accettabili, mentre altri – come Monzer Kahf, accademico e scrittore di libri di testo sull’Islam Banking di base in California – credono che siano un mezzo legittimo (anche se soggetto a manipolazione), ritengono le criptovalute accettabili.

Come direbbe Farrukh Habib – addetto alla ricerca alla International Shariah Research Academy for Islamic Finance in Malaysia – ci sono centinaia di monete virtuali, ognuna con peculiarità proprie e non può semplicemente esserci un solo “standard legale” per tutte loro.

Tuttavia, il coinvolgimento della religione non ostacola lo sviluppo di possibili criptovalute islamiche, e si è giá visto come il cryptobanking possa dare spazio ad un settore cripto-bancario e cripto-finanziario islamico. Nel 2015, Charles W. Evans – Professore Associato di Finanza ed Economia alla Barry University – scrivendo nel Journal of Islamic Banking and Finance, affermava che le criptovalute sono in realtà conformi alla proibizione della riba e incorporano i principi del maslaha (benefici sociale di esternalità positive).

In molti Paesi islamici, la causa principale per cui molti non hanno un conto bancario è la mancanza di una rete bancaria o di servizi intermedi estremamente costosi. In questo senso,  un sistema finanziario basato sulle criptovalute potrebbe coinvolgere questa fetta di popolazione, che necessita solo dell’accesso a internet per cominciare a commerciare e scambiare moneta alla pari con altri utenti.

Servizi finanziari basati sull’uso degli smartphone come M-Pesa in Kenya, dimostra il potenziale di tali servizi virtuali in società altrimenti basata solo su moneta contante, come illustrato da Yousuf Ikram, Head of Credit Risk and Basel alla Dubai Islamic Bank.

In conclusione, vorremmo riportare le parole di Mr. Ikram, che fornisce una sintesi considerevole di quello che potrebbe essere il futuro delle criptovalute nel mondo dell’Islam Banking:

“Sembra che Ethereum e altre criptovalute che sostengono lo sviluppo dei sistemi di blockchain abbiano delle condizioni favorevoli per essere rivolte alla finanza islamica, data la mancanza di dipendenza sul sistema di debito, di controllo su investitori/prestatori e la mutua condivisione di perdita e profitto nel processo di crowdsales. […] Soprattutto, la blockchain è un mezzo perfetto per incorporare e mettere in pratica i valori islamici di giustizia, eguaglianza, fiducia e correttezza nella finanza che incarna lo spirito della Sharia.”

Articolo scritto in collaborazione con Francesco Giacomini

 

Marco Rossi
Marco Rossi
Marco Rossi è un giornalista freelance. Ha un master della London School of Economics (LSE) in “China and Comparative Perspective” ed è anche co-fondatore della Informal Network of the Restless.
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