Il futuro del lavoro e dell’uguaglianza di genere nell’era dell’AI sta assumendo contorni sempre più concreti.
Le dichiarazioni emerse durante una recente conferenza stampa al Web Summit di Lisbona rivelano come l’intelligenza artificiale non solo stia rivoluzionando il modo in cui le persone lavorano, ma anche come potrebbe ridefinire gli equilibri sociali, culturali e di genere nei prossimi anni.
Nel pomeriggio infatti si è tenuta una conferenza stampa con esponenti dell’AI come Daniela Brega (Defined AI), Vasco Pedro (Spinnable) e Douwe Kiela (Contextual AI) sul futuro dell’intelligenza artificiale.
Summary
Come l’AI sta cambiando il lavoro: dal codice al linguaggio naturale
Uno dei punti centrali emersi riguarda la trasformazione radicale delle professioni, in particolare nel settore tecnologico.
Gli ingegneri e gli sviluppatori, ad esempio, non scrivono più semplicemente codice: oggi dialogano con i modelli linguistici per generarlo, ha spiegato Kiela.
Questo spostamento dal linguaggio di programmazione all’inglese — o a un linguaggio naturale — segna una nuova era in cui le competenze linguistiche e la capacità di formulare istruzioni chiare diventano fondamentali.
“Un anno fa scrivevano codice, oggi dicono ai modelli linguistici come scriverlo”, spiega Kiela. “La produttività è aumentata enormemente, ma il tipo di lavoro è completamente diverso.”
Umani e AI come colleghi di squadra
Un altro passaggio interessante sottolinea come alcune aziende stiano già operando con team ibridi composti da umani e agenti artificiali.
“Il nostro team è formato da 15 membri: 5 umani e 10 non umani. Gli AI agent lavorano su Slack come se fossero persone, producendo tanto quanto i colleghi umani”, dichiara Pedro.
Questo modello, definito AI-augmented organization, sta diventando sempre più comune. Le imprese più agili evitano strutture gerarchiche complesse e sfruttano la capacità delle intelligenze artificiali di gestire compiti ripetitivi, analisi e produzione di contenuti. Il risultato è una produttività aumentata e una riduzione dei livelli di management necessari per coordinare grandi gruppi di lavoro.
La sfida etica: l’AI come strumento di empowerment o di esclusione
Uno dei dilemmi chiave riguarda come le aziende decideranno di utilizzare queste tecnologie.
Da un lato, c’è chi punta sull’automazione per ridurre i costi e il personale; dall’altro, chi sceglie di usare l’AI per potenziare le persone e amplificare le loro capacità. “Le aziende che useranno l’intelligenza artificiale per rafforzare il capitale umano saranno quelle che vinceranno”, afferma Braga.
Questa distinzione è cruciale: l’AI può essere vista come una minaccia occupazionale oppure come un alleato strategico per rinnovare competenze, processi e ruoli. Tutto dipende da come viene integrata.

Bias di genere e intelligenza artificiale
La seconda parte della discussione affronta un tema spesso sottovalutato: la parità di genere nell’era dell’AI.
Una giornalista solleva una domanda provocatoria: se per secoli gli uomini hanno dominato religione, politica, economia e tecnologia, non è forse inevitabile che l’intelligenza artificiale erediti questi bias?
Braga risponde sottolineando che, pur riconoscendo l’esistenza del problema, l’interazione crescente tra umani e AI potrebbe portare a un risultato inatteso.
“Più l’intelligenza artificiale comunica a livello umano, più vedo che le donne ne traggono vantaggio”, afferma. “Le donne, mediamente più forti nella comunicazione e nell’empatia, si stanno dimostrando più efficaci nel dialogare con i modelli linguistici.”
Un gap di genere ancora troppo ampio
I dati restano però impietosi. Secondo il World Economic Forum, il divario di genere globale non si sta riducendo: anzi, la parità piena è stimata a oltre 120 anni di distanza.
Solo il 10% dei ruoli di leadership nelle aziende Fortune 500 è occupato da donne. E, in molti Paesi, la leadership femminile continua a incontrare resistenze culturali e politiche.
“Negli Stati Uniti, la diversità e l’inclusione non sono più una priorità. E questo è un segnale preoccupante”, ha osservato Braga. Tuttavia, l’AI può rappresentare un terreno neutrale: “Se riusciamo a influenzare i modelli attraverso i dati, possiamo contrastare i bias e creare sistemi più equi, indipendentemente da chi li guida.”
Il futuro del lavoro e dell’uguaglianza di genere nell’era dell’AI
La riflessione finale è chiara: l’intelligenza artificiale è già qui, e sta ridisegnando il concetto stesso di lavoro e di competenze. Le aziende che sapranno usarla per emancipare — e non sostituire — le persone, saranno quelle che definiranno i nuovi standard di successo.
Allo stesso tempo, il progresso tecnologico offre una rara opportunità di riequilibrare la rappresentanza di genere, ma solo se i dati e i modelli saranno progettati in modo realmente inclusivo.
In definitiva, il futuro del lavoro e dell’uguaglianza di genere nell’era dell’AI dipenderà da scelte etiche e strategiche. La tecnologia può essere neutra, ma il modo in cui la usiamo no.

