HomeCriptovaluteQuantum computing e criptovalute: una minaccia per il settore?

Quantum computing e criptovalute: una minaccia per il settore?

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Sebbene l’utente finale non dovrebbe preoccuparsi se una tecnologia sia o meno quantum resistant, gli esperti del settore e della blockchain dovrebbero prepararsi… prima che sia troppo tardi!

Il wallet di Takamaka, blockchain di terza generazione interamente sviluppata in Java, è già completamente quantum resistant: l’algoritmo per la firma dei blocchi e delle transazioni tra wallet e nodo è infatti qTesla.

Di recente, Google ha annunciato una svolta nell’informatica quantistica: pare che l’azienda sia riuscita a raggiungere la cosiddetta “supremazia quantistica”.

A differenza dei normali computer, quelli quantistici usano qubit: così come il bit classico ammette due stati, ovvero lo stato 0 e lo stato 1, altrettanto accade con i qubit. Tuttavia, grazie al principio di sovrapposizione, è possibile combinare linearmente i due stati, di fatto incrementando esponenzialmente potenza e velocità di questi computer.

La quantum resistant cryptography risolve il problema del logaritmo discreto della curva ellittica. Nella crittografia blockchain, è piuttosto difficile (per non dire impossibile) calcolare il valore di una chiave privata se si ha a disposizione soltanto quella pubblica. Per fare ciò si dovrebbe infatti risolvere un problema chiamato “logaritmo discreto della curva ellittica”: l’elaborazione di un simile calcolo richiederebbe moltissimo tempo (milioni di anni) persino a un moderno supercomputer.

Al contrario, un computer quantistico riuscirebbe a decifrare la chiave in pochissimo tempo: si stima che tale calcolo possa essere eseguito in poco meno di 10 minuti!

Il problema dell’informatica quantistica non è nuovo per il mondo della crittografia, e la “gara” per una tecnologia quantum resistant continua a far discutere. Qualcuno azzarda che una tecnologia resistente ai computer quantistici potrebbe essere disponibile entro i prossimi cinque anni; tuttavia, nel campo della blockchain già si annoverano alcuni concreti esempi di tecnologie pronte per la quantum resistant.

L’algoritmo di firma delle transazioni di Takamaka è ED25519

Dire di essere quantum-safe vuol dire che si è adottato un approccio totalmente diverso per proteggersi da tali attacchi. Il progetto Takamaka è già pronto ad affrontare eventuali sfide future.

Giovanni Antino, CTO di Takamaka, ha dichiarato:

“Il caso di Takamaka è emblematico, perché chiaro e definito in quale modo l’algoritmo di firma è specificato, in particolare l’algoritmo di signature dei blocchi è già qTesla. Per la firma delle transazioni viene invece utilizzato ED25519 (High-speed high-security signatures), un sistema a chiave pubblica, attentamente progettato per diversi livelli di verifica e implementazione, utile per raggiungere velocità molto elevate senza compromettere la sicurezza.”

Sebbene questa firma non rientri propriamente nella categoria “quantum resistant”, ad oggi non esiste ancora un computer in grado di comprometterla. Tuttavia, nel momento in cui ciò si verificasse, è prevista la sostituzione immediata con una tecnologia q-resistant. 

A tal proposito, il CTO di Takamaka ha spiegato:

“Il cambio di crittografia è già contemplato, supportato ed implementato nel protocollo Takamaka. Le transazioni già incluse saranno coperte dalla “busta qTesla” e dall’hash sha3-512, ambedue a prova di quantum. Il motivo per cui Takamaka non applica fin da subito qTesla alle transazioni è principalmente dovuto dalla dimensione che la firma va a generare (circa 14kb), perché inciderebbe piuttosto significativamente sulle dimensioni della transazione: 600 byte.”

La posta in gioco è alta: i computer quantistici potrebbero essere in grado di decifrare tutte le informazioni crittografate, inclusi conti bancari e database governativi. Per crittografi, criptovalute e blockchain, il tempo è essenziale.

 

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