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Con il rialzo dei tassi la Fed crea un rischio deflazione

Mentre il Presidente della Fed sembra far capire che la politica dei rialzi dei tassi continuerà, molti avvertono sui rischi di deflazione in USA.

Il Presidente della Fed genera un rischio deflazione

La Fed sembra intenzionata a non arretrare di un millimetro sulla sua politica aggressiva per contrastare il rialzo record dell’inflazione che in USA ha toccato il 9%. In un recente discorso a Jackson Hole, il Presidente Jerome Powell ha lasciato chiaramente intendere che la politica di rialzo dei tassi continuerà fino a che l’inflazione non tornerà a livelli accettabili.

“Più l’inflazione resta alta più sarà un problema”, ha detto il numero uno della Federal Reserve nel Wyoming, per poi affermare che la Fed userà “con determinazione” gli strumenti a sua disposizione al fine di continuare a combattere la fiammata dei prezzi in USA. Insomma, come dire che i due consecutivi rialzi dello 0,75% sui tassi americani non saranno certo gli ultimi. Ma allo stesso tempo Powell ha anche ammesso che questa politica di tassi potrà avere impatti negativi sull’economia e sulle tasche dei cittadini.

A tal proposito, Powell ha affermato che:

“Mentre i tassi di interesse più elevati, la crescita più lenta e le condizioni del mercato del lavoro più flessibili faranno scendere l’inflazione, ci sarà un impatto negativo anche sulle tasche delle famiglie e delle imprese. Questi sono gli sfortunati costi della riduzione dell’inflazione. Ma un fallimento nel ripristinare la stabilità dei prezzi sarebbe ancora peggio per l’economia”. 

In poche parole la Fed pensa che, malgrado esistano dei rischi sulla ripresa economica da un rialzo costante e robusto del costo del denaro, non contrastare con forza il rialzo dell’inflazione potrebbe avere effetti ancora peggiori. Molti economisti ed esperti pensano che questo possa provocare addirittura effetti recessivi sull’economia che è in ripresa, ma che deve scontare una situazione generale tutt’altro che facile. 

Le preoccupazioni di Elon Musk e Cathie Wood

Qualcuno addirittura, come il fondatore di Tesla, Elon Musk, si spinge anche oltre, facendo notare come un eccessivo rialzo dei tassi potrebbe avere anche effetti deflattivi sull’economia.

L’avvertimento di Musk è arrivato dopo un’analisi del CEO di Ark Invest, Cathie Wood, che ha avvertito:

“I principali indicatori di inflazione come l’oro e il rame stanno segnalando il rischio di deflazione”. 

Secondo la Wood, l’economia USA sarebbe già in recessione, malgrado i dati economici sembrerebbero smentire per ora questa tesi. Secondo il CEO di Ark Invest il problema dopo quello dell’inflazione, ora sarebbe il suo esatto opposto, ovvero la deflazione, come ha sostenuto in un’intervista con la CNBC:

“Ci sbagliavamo su una cosa ed era che l’inflazione era sostenuta come è stata. Non riesco a credere che stiano impiegando più di due anni e l’invasione russa dell’Ucraina ovviamente non avremmo potuto prevederlo. L’inflazione è stata un problema più grande, ma ci ha preparato alla deflazione”.

Quello che la Wood sostiene, come molti altri economisti, è quella secondo cui la Fed abbia sbagliato due volte. In primo luogo avrebbe atteso troppo, prima di intervenire per contrastare i rialzi poderosi dell’inflazione di questi mesi e poi ora sarebbe intervenuta troppo drasticamente. Non è un caso che dopo il discorso di Jackson Hole del Presidente della Fed i mercati abbiano reagito con cali diffusi su tutti i principali listini.

Molti appartenenti al congresso, tra cui la senatrice Elizabeth Warren, hanno aspramente criticato questa politica, affermando che questo atteggiamento da parte della Banca Centrale potrebbe portare l’economia a stelle strisce verso una probabile recessione.

Musk ad agosto si è detto convinto che l’inflazione avrebbe ormai raggiunto il suo picco, intendendo, quindi, che la Fed potrebbe assumere un atteggiamento meno aggressivo, e avrebbe cominciato la sua discesa, che potrebbe, però, portare ad una deflazione e una conseguente recessione della durata di 18 mesi.

I livelli attuali dell’inflazione in USA e in Europa

In effetti gli ultimi dati in merito all’inflazione americana hanno registrato un apparente arresto degli aumenti dei prezzi in America. Ed è per questo motivo che il discorso di Powell ha sorpreso quanti pensavano che ora la Banca Centrale avrebbe assunto un comportamento quantomeno più attendista nei confronti della politica monetaria per tenere a bada l’inflazione, che comunque rimane sempre sopra l’8%. 

D’altra parte l’economia americana, e quella europea, vengono da anni di politica molto espansiva da parte delle Banche Centrali, che se ha sicuramente avuto effetti positivi sull’economia, ha, però, a lungo termine determinato anche storture e speculazioni che ora stanno esplodendo con rialzi record di materie prime, energia e prezzi in generale.

Di recente, anche la BCE ha operato un robusto aumento dei tassi dello 0,50% per combattere un’inflazione che sta registrando picchi ancora più alti che in USA, di oltre il 9%. Ma anche questo tardivo intervento europeo, potrebbe avere effetti ancora peggiori che in USA sulla ripresa economica. Il vecchio continente deve anche fare i conti con un aumento mostruoso dei costi dell’energia, aggravati dallo scoppio del conflitto, e con un’economia che mostra segnali contrastanti, con la locomotiva europea, la Germania, che mostra chiari segnali di un rallentamento economico, che secondo alcuni, potrebbe presto portare alla recessione.

Il problema dell’inflazione è sempre stata una priorità per la Banca Centrale Europea, che ha seguito come un mantra in questi anni, considerando un tasso equo quello del 2% (cifra che fa sorridere pensando ai tassi attuali). Ma la crisi finanziaria del 2008 e la pandemia attuale, con le conseguenti recessioni in Europa e le crisi dei debiti sovrani, hanno determinato un inevitabile allentamento delle misure da parte della BCE e della Fed.

Il rischio di una recessione troppo duratura

Ora, però, il rischio è che si sia aspettato troppo tempo, e che interventi troppo repentini e robusti possano effettivamente sortire l’effetto contrario e far entrare l’economia americana e quella europea in una sorta di circolo vizioso, che potrebbe avere effetti devastanti sui ceti più deboli della popolazione.

Come spiegano tutti i testi di economia politica, quando un’economia è pesantemente carica di debiti, come quella americana ed europea in questo momento, a causa della continua espansione dell’offerta di credito, quando quest’offerta cala repentinamente per un rialzo dei tassi come quello operato da Fed e BCE, i prezzi delle attività diminuiscono e gli investimenti speculativi eccessivi sono liquidati. Questo determina una cosiddetta deflazione del debito, che sembra proprio quella condizione verso la quale ci si sta indirizzando.

Vincenzo Cacioppoli
Vincenzo Cacioppoli
Vincenzo è genovese di nascita ma milanese di adozione. E' laureato in scienze politiche. E' un giornalista, blogger, scrittore, esperto di marketing e digital advertising. Dopo una lunga esperienza nel marketing tradizionale, comincia attività con il web e il digital advertising nel 2011 fondando una società Le enfants. Da sempre appassionato di web e innovazione, nel 2018 approfondisce le tematiche legate alla blockchain e alle criptovalute. Trader indipendente in criptovalute dal marzo 2018, collabora con aziende del settore come content marketing specialist. Nel suo blog. mediateccando.blogspot.com, da tempo si occupa soprattutto di blockchain, che considera come la più grande innovazione tecnologia dopo Internet. A novembre è prevista l'uscita del suo primo libro sulla blockchain e il fintech.
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