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La Fed alza di nuovo i tassi

Ieri la Fed ha annunciato l’ennesimo aumento dei tassi. 

In realtà non solo si trattava di un rialzo ampiamente atteso, ma anche la sua entità, ovvero di 50 punti base, è stata perfettamente in linea con le attese. 

Nonostante ciò i mercati non hanno reagito bene. 

Infatti l’indice S&P500 ha perso l’1,3% dopo l’annuncio, mentre il Nasdaq l’1,6%. 

L’eccesso di ottimismo

Questa strana reazione dei mercati, come se fossero stati colti impreparati da una notizia invece ampiamente annunciata, potrebbe avere una causa precedente. 

Infatti sia l’indice S&P500 che il Nasdaq ieri non hanno fatto altro che tornare sui livelli di lunedì. 

Il punto è che martedì, dopo la pubblicazione dei dati dell’inflazione statunitense migliori delle attese, avevano reagito particolarmente bene, anzi forse eccessivamente bene. Basti dire che proprio martedì S&P500 ha aperto con un istantaneo +2,5%, mentre il Nasdaq addirittura con un +3,7%. 

Visto che il dato relativo all’inflazione era sì inferiore alle attese, ma pur sempre molto elevato (7,1%), stupiva un po’ così tanto apparente ottimismo. 

Non è da escludere che in una situazione in cui molti operatori economici statunitensi chiedevano a gran voce alla Fed di smettere di aumentare i tassi, qualcuno dopo il dato relativamente positivo sull’inflazione abbia sperato in un allentamento della politica monetaria restrittiva della banca centrale. 

Ciò invece ieri non è avvenuto, con l’aumento di 50 punti base dei tassi che si è rivelato essere perfettamente in linea con le previsioni precedenti al dato sull’inflazione. 

Fed: gli aumenti dei tassi

La Fed quest’anno ha iniziato ad aumentare i tassi a marzo, portandoli da 0,25% a 0,50% con un primo aumento di soli 25 punti base. 

Era dal 2018 che non li alzava, ed anzi era dal 2020 che non li toccava dopo averli ridotti sia nel 2019 che nello stesso 2020. 

L’obiettivo dei rialzi del 2022 è quello di raffreddare l’inflazione, ed in effetti il dato di martedì sembrerebbe confermare che tale strategia stia finalmente funzionando. 

Ma quello che stupisce maggiormente è la sequenza degli aumenti. 

Basti pensare che tra il 2015 ed il 2018, nel corso di tre anni, la Fed aumentò i tassi nove volte, ovvero con una media di tre volte l’anno, sempre e soltanto di 25 punti base alla volta. Nel complesso in quei tre anni portò i tassi dal livello iniziale di 0,25% a quello finale di 2,5%, ovvero decuplicandoli per l’appunto nel giro di tre anni. 

La sequenza del 2022 è stata molto più rapida e soprattutto molto più violenta. 

In tutto i rialzi sono stati sette in otto mesi, di cui solo il primo da 25 punti base. Infatti già il secondo fu di 50 punti base, seguito da quattro aumenti consecutivi da 75 punti base. Probabilmente è per questo motivo sia che molti operatori economici statunitensi stanno chiedendo una politica monetaria meno restrittiva, sia che martedì i mercati si fossero illusi che questa potesse essere una prospettiva realistica. 

Il fatto che l’aumento annunciato ieri non sia stato di 75 punti base, come i quattro precedenti, ma “solo” di 50, non è stato in grado di confermare l’ottimismo ingiustificato diffusosi martedì. 

Per dare un’idea di quanto sia stato violento l’aumento dei tassi del 2022 basta confrontarlo con quello del 2018. 

Allora con quattro aumenti di 25 punti i tassi passarono da 1,5% a 2,5%, ovvero con un incremento inferiore alle due volte. 

Quest’anno con sette aumenti sono passati da 0,25% a 4,50%, ovvero sono aumentati di diciotto volte. 

Le paure del mercato

Ma non è finita qui. 

I mercati temono ulteriori aumenti nel 2023, sebbene di entità inferiore a quella media del 2022. 

Il fatto è che, stando a quanto riportato nel Summary of Economic Projections pubblicato ieri dalla Fed, risulta che a settembre nessuno all’interno della Fed immaginava realisticamente che i tassi nel 2023 avrebbero potuto superare il 5%, mentre ora addirittura si spingono a credere che possano arrivare fino al 5,75%. 

A dire il vero già il 5% andrebbe considerata una cifra molto elevata, ma ormai sembra quasi impossibile che possa non essere superata. Infatti basterebbe un singolo altro aumento di 50 punti base come quello annunciato ieri per raggiungere questa soglia. 

Inoltre, a questo punto basterebbe ancora solo un aumento di 50 punti, e tre da 25, per raggiungere il 5,75%. Questo è sicuramente uno scenario che impaurisce i mercati. 

Tutto però dipende dall’inflazione, perchè se l’accelerazione nella discesa fatta registrare a novembre dovesse continuare, effettivamente la Fed potrebbe anche decidere di rendere meno violenta la sua politica monetaria restrittiva. 

L’inflazione e il rialzo dei tassi da parte della Fed

Il picco dell’inflazione negli USA di questo periodo storico è stato toccato a giugno, quindi superò il 9%. 

Nei tre mesi successivi ha iniziato a scendere, ma sostanzialmente è solo tornata ai livelli pre picco. 

La vera e propria discesa è iniziata solo ad ottobre, quando fece segnare un incoraggiante 7,7%, a fronte di un 8,2% di settembre. Questo però significa che, rispetto al picco, in quattro mesi è scesa di 1,4 punti percentuali. 

Invece a novembre è scesa in un solo mese di 0,6 punti, ovvero il doppio rispetto alla discesa media dei quattro mesi precedenti. Qualora la discesa di novembre segnasse una vera e propria inversione di tendenza, ovvero il passaggio da una riduzione lieve ad un calo ampio e veloce, le politiche monetarie della Fed potrebbero in effetti diventare meno restrittive. 

Non bisogna dimenticare che il livello di inflazione di novembre 2022 è ormai in linea con quello di dicembre 2021, quando l’aumento dei tassi di interesse non era ancora iniziato. 

Inoltre ormai non pare più che il vero obiettivo della Fed sia quello di riportarla a quel 2% da cui era partita ad inizio 2021, e che costituisce il target storico per molte banche centrali, ma probabilmente al 3% o addirittura al 4%, ovvero a livelli inferiori a quelli della seconda parte del 2021. 

In quest’ottica il prossimo dato relativo all’inflazione a dicembre, che verrà presumibilmente pubblicato prima della metà di gennaio, potrebbe aiutare molto a capire se il trend è davvero quello di una forte riduzione tale da giustificare aumenti dei tassi inferiori ai 50 punti base, o se invece il netto calo di novembre sia stato solamente un fuoco di paglia. 

C’è però da dire che una politica monetaria così aggressivamente restrittiva difficilmente non dà risultati, pertanto è lecito immaginare che sia proprio questa la causa principale dietro il netto calo dell’inflazione di novembre. 

Marco Cavicchioli
Marco Cavicchioli
"Classe 1975, Marco è stato il primo a fare divulgazione su YouTube in Italia riguardo Bitcoin. Ha fondato ilBitcoin.news ed il gruppo Facebook "Bitcoin Italia (aperto e senza scam)".
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