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Le differenze tra J-Coin di Mizuho e JPM Coin

Il mese di febbraio è stato movimentato dall’introduzione, a titolo di test o ad un livello più avanzato, delle valute virtuali da parte di due grandi istituti bancari: da una parte J-Coin di Mizuho, dall’altra JPM coin di JP Morgan.

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Anche se i due progetti sembrano partire dalla stessa tecnologia di applicazione, in realtà hanno delle profonde differenze di carattere concettuale e strutturale, anche perché non è ancora stato confermato se J-coin utilizzerà o meno la blockchain.

J-Coin di Mizuho Bank, che in pratica è come se fosse una “stablecoin” peggata con lo Yen, è un progetto di più breve durata, ma più concettualmente semplice e di immediata applicazione.

Il progetto è iniziato nel 2017, ma fin da subito è stato studiato come strumento per l’applicazione retail, con la finalità di diventare un sistema diffuso di pagamento a costi contenuti. Quindi Mizuho si è impegnata fortemente negli elementi essenziali di un progetto imprenditoriale di questo genere e cioè:

  • La creazione di un network bancario che accettasse il token;
  • La creazione di un network al dettaglio che la accettasse come pagamento;
  • La programmazione di un’interfaccia cliente semplice, intuitiva e in grado di essere utilizzata da chiunque.

Apparentemente Mizuho è riuscita nell’intento offrendo un sistema di pagamento che, grazie all’accordo con Alipay, ha perfino delle prospettive di espansione internazionale.

Una sfida complessa, ma lineare nella sua logica aziendale: Mizuho vuole sostituire le carte di credito ed ha creato un sistema di pagamento adeguato, J-Coin, appunto

Diverso è il progetto di JPM Coin di JP Morgan. Nonostante il progetto sia partito da più lontano ed abbia avuto un’evoluzione tecnologica molto più lunga, basata su una fondazione solida come Quorum, il test per ora sarà applicato solo alle transazioni wholesale interne.

Questo ha condotto ad un prodotto molto più semplice, che sicuramente non ha bisogno di un’interfaccia in grado di far fronte a qualsiasi transazione retail.

Nello stesso tempo la banca non ha dovuto ancora creare delle relazioni esterne, neanche a livello wholesale, perché JPM Coin viene ad essere applicato solo a livello interno.

Quindi il progetto JPM Coin è solo un dimostratore tecnologico in questa fase, con ancora molto lavoro davanti ed ha finalità estremamente diverse. Il prodotto si propone per i pagamenti wholesale, quindi per gestire non singole transazioni, ma uno scambio continuo di dati e pagamenti: una sorta di canale sempre aperto tra due lati.

L’evoluzione di un sistema del genere può essere in due direzioni:

  • verso l’implementazione retail, ma in questo caso sarebbe necessario studiare un’interfaccia retail e questo metterebbe JPM Coin in ritardo rispetto sia J Coin sia a tante altri sistemi di pagamento basati sulle criptovalute che sono più avanzati;
  • verso un’implementazione wholesale, ma esterna, verso altri istituti bancari. In questi casi si potrebbe avviare un sistema di pagamento fiduciario, con riserva frazionaria, che verrebbe a superare le limitazioni imposte dall’utilizzo delle valute Fiat anche a livello di indici di capitalizzazione.

Se il progetto J-Coin è più avanzato ed interessante nel breve periodo per il consumatore retail ed è applicato in un Paese, il Giappone, dove le valute virtuali sono già molto diffuse, il progetto della JPM Coin ha una prospettiva più di lungo periodo e rivolta verso un rivoluzionamento del settore dei servizi creditizi ed interbancari.

Due ottiche diverse che rendono i due progetti neppure concorrenziali, in quanto J-Coin si pone in concorrenza con le carte di credito e di debito, mentre JPM coin è in concorrenza con il sistema SWIFT di transazione internazionale.

Fabio Lugano
Fabio Lugano
Laureato con lode all'Università Commerciale Bocconi, Fabio è consulente aziendale e degli azionisti danneggiati delle Banche Venete. E' anche autore di Scenari Economici, e conferenziere ed analista di criptovalute dal 2016.
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