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La guerra di Warren al bitcoin

Non tutte le settimane iniziano bene e finiscono altrettanto bene.

Sabato scorso, 5 maggio, al meeting della propria holding conglomerata Berkshire Hathaway, il miliardario americano Warren Buffett, è tornato ancora una volta a dire le peggio cose sulle criptovalute.

A una specifica domanda riguardo bitcoin, ha risposto:

“Bitcoin non è un asset produttivo, come la terra o le azioni societarie. Come risultato il solo fattore determinante del prezzo è la domanda, facendo della valuta digitale un comodo strumento per ciarlatani”.

Ancora più duro è stato il suo Vice, Charlie Munger: “Someone else is trading turds, and you decide I can’t be left out”, vale a dire, tradotto senza alcuna fantasia: “E’ come se qualcuno commerciasse in escrementi, e tu decidessi che non puoi restarne fuori”.

C’è chi pensa che i soldi (tutti quei soldi a cui Warrent Buffett ha dedicato con successo l’intera sua vita), altro non siano che “sterco del diavolo”.

Andrebbe ricordato che a suo tempo, nei primi anni di Internet, disse esplicitamente:“Non investo dove non capisco”.

Oggi, invece, è notizia dei giorni scorsi, che la sua società è diventata il secondo azionista di riferimento di Apple.

In altre parole, forse qualcuno dovrebbe provare a chiarire a Buffett cosa è la blockchain, qual è il suo legame inscindibile con bitcoin e altre crypto e avventurarsi nella spiegazione di cosa può essere una smart contract.

Forse, l’anziano guru di Omaha comincerebbe a cambiare idea.

Warren Buffett, 87 anni, è il secondo uomo più ricco nella lista di Forbes, con 67 miliardi di dollari investiti in beni immobili, partecipazioni azionarie, ferrovie e old economy in generale.

Molto scettico verso bitcoin già nel 2017 aveva annunciato che sarebbe esploso come una bolla.

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