Più volte negli ultimi mesi la Cina ha espresso la propria volontà di voler bannare il mining di criptovalute sul suolo asiatico. Attualmente, infatti, la maggior parte delle mining farm hanno sede proprio in Cina dove, complici i costi per la corrente elettrica molto bassi o addirittura nulli, hanno consentito ai miner di ottenere corposi introiti, anche quando bitcoin era sprofondato sotto i 4mila dollari.
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Il Paese asiatico starebbe considerando un ban totale del mining di criptovalute per due motivi chiave. Infatti, secondo la National Development Reform Commission (NDRC), il mining di criptovalute è un’operazione pericolosa per l’economia del paese.
L’agenzia, inoltre, ha dichiarato che il mining può causare danni ambientali significativi, complice il crescente consumo energetico.
La Cina per il ban del mining di criptovalute
Le autorità del Paese stanno già agendo per ridurre le operazioni di mining illegali, aumentate repentinamente con la recente crescita del valore di bitcoin ed altre criptovalute.
Più di una dozzina di sospetti sono stati recentemente arrestati nella provincia cinese di Jiangsu. Il sindacato che si occupa di controllare i furti di elettricità ha infatti scoperto un’ampia mining farm con ben 4mila ASIC. Stando alle dichiarazioni, il provider di energia elettrica locale avrebbe subito perdite per decine di milioni di Yuan a causa del mining illecito.
Le autorità locali sarebbero inoltre alle prese con la costruzione di nuove mining farm nella regione del Sichuan. L’area, infatti, vanta oltre 25 dighe idroelettriche in funzione che generano energia a basso costo durante il periodo delle piogge.
Ormai la lotta alle mining farm abusive sta diventano un grande problema per il governo cinese. Dal momento inoltre che Cina e Stati Uniti sono coinvolti in una guerra commerciale che minaccia l’economia cinese e la moneta nazionale, il paese asiatico teme che le attività di mining di criptovalute possano innescare un’ulteriore fuga di capitali.