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Crypto e ICO, le regole in Cina e USA

Le criptovalute, nel bene e nel male, sono certamente una novità che fonde tecnologia, finanza ed economia. Come altre innovazioni rivoluzionarie, possono avere un processo di accettazione lungo e complesso. Questa innovazione interviene in un mondo – quello bancario-finanziario – in cui i regolamenti sono stringenti, complessi e derivano da una lunga sedimentazione legislativa.

È perciò utile raccontare il quadro generale dell’accettazione delle criptovalute all’interno delle principali economie, a partire da Cina e Stati Uniti.

La Cina e exchange

Nel 2017 la Repubblica Popolare Cinese è stata uno dei principali motori delle criptovalute, sia per quanto riguarda il mining sia per quanto riguarda i progetti e l’investimento in ICO.

Ad esempio, BTCC, Antshares, ViaTBC nascono tutti da iniziative cinesi.

A partire dal settembre 2017 le autorità politiche e monetarie sono però intervenute in modo restrittivo. All’inizio si credeva che fosse solo una mossa temporanea, decisa a tavolino, per portare pace e armonia prima del congresso del Partito Comunista Cinese. Invece, si è trattato di un percorso progressivo di repressione: a settembre sono state vietate le ICO, ad ottobre sono stati chiusi gli exchange con fixing ufficiali, lasciando libero solo lo scambio diretto e “peer to peer”.

Andando avanti, a gennaio 2018 vi sono state misure restrittive nei confronti del mining con la cancellazione delle agevolazioni sull’utilizzo dell’energia elettrica, mentre a febbraio è stato interdetto l’accesso dei cinesi agli exchange internazionali tramite un blocco degli IP tramite il loro firewall nazionale.

Attualmente non è vietato detenere bitcoin o criptovalute in Cina e neppure scambiarle da persona a persona, ma il mercato regolato dagli exchange è morto.

Il risultato è stato un fuggi fuggi a Hong Kong, territorio cinese con governo autonomo, dove attualmente operano 11 exchange e dove la comunità è molto viva, nonostante le autorità finanziarie mettano periodicamente in guardia gli investitori sulla rischiosità degli investimenti.

Stati Uniti e ICO

Passiamo agli Stati Uniti, a ben vedere la culla delle criptovalute. Il “Pizza Day”, festa di bitcoin, rievoca il suo primo utilizzo pratico, avvenuto il 22 maggio 2010. Bisogna però ricordare che gli USA sono uno Stato Federale in cui si incrociano normative centrali, come quelle di carattere finanziario, con quelle statuali, estremamente variabili.

Per fare un esempio:

  • New York prevede che chi tratta criptovalute senza controparte reale (cioè a livello finanziario) abbia una licenza, “Bitlicence”, il cui costo diretto è solo di 5.000 dollari, ma le cui pratiche possono costare anche 100.000 dollari, come è successo nel caso di Bitstamp;
  • La California considera bitcoin come valuta con valore legale;
  • Shapeshift ha lasciato lo stato di Washington nel 2017 per le eccessive richieste di carattere legale;
  • il Wyoming ha escluso la necessità di qualsiasi licenza per comprare, vendere o scambiare criptovalute;
  • l’Arizona accetta le criptovalute per il pagamento delle imposte, e presto anche la Georgia farà la stessa scelta;
  • il Texas non considera le criptovalute come valute con corso legale, ma due grandi exchange hanno sede sul suo territorio.

Conviene fermarsi qui perché praticamente ogni Stato ha una sua legislazione più o meno liberale sulla materia.

Chi intende svolgere un’attività legata a questo settore negli USA dovrebbe prima di tutto contattare uno studio legale per avere un’idea delle norme locali in materia.

La Security and Exchange Commission

Più chiara ma molto più restrittiva, invece, la normativa a livello federale che cade sotto l’occhio vigile della SEC (Security and Exchange Commission, autorità che regola la Borsa) o la CFCT (Commodity Future Trading Commission).

La SEC è intervenuta pesantemente sulle ICO, richiedendo che quelle assimilabili ad azioni o ad obbligazioni ricadano sotto il suo controllo.

Recentemente ha anche inviato un duro monito agli exchange non regolamentati che trattano token assimilabili ai suddetti titoli.

La CFCT, invece, ha autorizzato la trattazione da parte di CBE e CBOE di future legati a bitcoin, anche se per ora i volumi sono molto limitati.

Tra le agenzie federali è importante ricordare anche l’azione dell’IRS, Internal Revenue Service, l’agenzia delle entrate a stelle e strisce che recentemente ha iniziato ad interessarsi ai proventi speculativi derivanti dal trading ed ha iniziato a chiedere agli exchange i dati sugli operatori americani.

Fabio Lugano
Fabio Lugano
Laureato con lode all'Università Commerciale Bocconi, Fabio è consulente aziendale e degli azionisti danneggiati delle Banche Venete. E' anche autore di Scenari Economici, e conferenziere ed analista di criptovalute dal 2016.
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