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Cannabis, crypto e leggi pasticcio Usa

Quali sono le ragioni dietro il boom di criptovalute legate alla vendita delle droghe legali? Un’analisi delle più importanti iniziative

Chi frequenta il mercato delle criptovalute si è spesso trovato davanti a crypto dal nome non equivoco, come “Marijunacoin” e “Hempcoin” dove “Hemp” è la canapa non intesa, ovviamente per uso tessile.

La metà degli Stati americani ormai ammette l’uso legale della cannabis ad uso medico, mentre è legale l’uso ricreativo in Alaska, Colorado e California, motivo per cui si attende una vera e propria esplosione del settore con una crescita media del 29%,  come indica anche New Frontier Data.

Perché c’è bisogno delle criptovalute?

Il problema deriva da un contrasto fra la legge Federale e le leggi dei singoli Stati: se i secondi possono aver legalizzato e regolato il consumo, a livello centrale la normativa è ancora repressiva.

Il sistema bancario sottoposto al controllo centrale del Financial Crimes Enforcement Network (FinCEN) , cioè il ramo della Segreteria del Tesoro che si occupa dei reati finanziari, non può permettersi di accettare il denaro proveniente da un’attività considerata illegale. Questo rende molto complesso sia versare il denaro contante incassato sia accettare carte di credito o di debito.

Inoltre, gli incassi eventualmente versati in una banca accondiscendente vengono sempre sottoposti alla minaccia di sequestro da parte di un giudice Federale. Se una banca decidesse di finanziare un’azienda impegnata nel settore delle droghe legali e qualcosa andasse storto, la banca stessa rischierebbe la propria autorizzazione ad operare.

Queste difficoltà tecniche hanno aperto la strada a criptovalute specifiche, che indichiamo con capitalizzazione e scambi giornalieri, così come dai dati ripresi da CoinMarketCap.

Si tratta di una capitalizzazione complessiva di poco superiore ai 64 milioni di dollari con un volume di scambi giornalieri pari a circa 620 mila.

Una liquidità non impressionante, che rischia di trasformarsi in una trappola per chi vi investe.

Solo DopeCoin, Paragon  e PotCoin hanno un minimo di vitalità, ma senza brillare in modo particolare.

Attualmente solo 500 banche su 7600 negli USA accettano il denaro proveniente da questo settore: rispetto alle 220 citate da Business Insider nel 2016 siamo avanti, ma comunque non ancora un dato positivo.

Quale soluzione

Allo stesso tempo, le criptovalute non possono essere la risposta al problema. Sia perché gli exchange USA sarebbero sottoposti a maggiori controlli delle autorità finanziarie (come se già fossero pochi), sia perché esiste un eccessivo frazionamento. Nessuna di queste valute è stata per il momento in grado di sviluppare un progetto sufficientemente ampio ed approfondito.

Ci vorrà quindi ancora del tempo per cui le criptovalute possano veramente cambiare anche il mercato delle droghe legali.

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Fabio Lugano
Fabio Lugano
Laureato con lode all'Università Commerciale Bocconi, Fabio è consulente aziendale e degli azionisti danneggiati delle Banche Venete. E' anche autore di Scenari Economici, e conferenziere ed analista di criptovalute dal 2016.
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