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Ancora guerra tra Nano e BitGrail

Lo scorso febbraio è stato scosso da alcuni fra gli hacking più importanti degli ultimi anni: il furto a Coincheck di 500 milioni di dollari in NEM e la sparizione di 170-190 milioni di dollari in Nano in BitGrail.

Se però la prima vicenda sembra essersi chiusa in modo definitivo, con una presa di responsabilità da parte dell’exchange, proseguono veementi le polemiche riguardanti il secondo caso.

Fino a gennaio 2018 BitGrail aveva lavorato spalla a spalla con Nano (precedentemente Raiblocks), al punto da essere il primo exchange a quotare la crypto della nuova blockchain. Quando però ci si è resi conto che le cifre non quadravano e che ne era sparita una grande quantità, sono iniziate le accuse reciproche. Nano ha accusato BitGrail di una cattiva programmazione del wallet, mentre BitGrail ha sostenuto che la programmazione della controparte aveva lasciato dei bug con il risultato di consentire dei prelievi illegittimi. La vicenda era proseguita con BitGrail che aveva denunciato il furto delle crypto alla polizia italiana.

La vicenda non si è ancora conclusa, anzi proprio in questi giorni abbiamo assistito a una recrudescenza.

Da un lato Nano ha annunciato una consistente donazione di 500 mila dollari al fondo per la copertura delle spese legali degli investitori depauperati. Questo fondo sostiene 1400 vittime, tutelate negli USA dallo studio Espen Enger che in Italia ha come corrispondente  il prestigioso studio BonelliErede, specializzato in questioni bancarie e già consulente delle popolari venete.

Attualmente i fondi a disposizione per le azioni legali, tra donazioni di Nano e soldi raccolti tra i truffati, raggiungono i 600 mila dollari ma l’obiettivo è di arrivare, nel tempo, a 2 milioni.

A questa iniziativa ha risposto BitGrail con un comunicato nel quale si ribadiscono le responsabilità di Nano che, a detta dell’exchange, non avrebbe messo a disposizione un software adeguato a impedire la sparizione della valuta e, successivamente, non avrebbe effettuato un hard fork per eliminare il bottino rubato.

Proprio sul tema dell’hard fork si concentra ora una terza azione legale iniziata da un investitore dell’Arizona, Alex Brola, che ha perso 237 mila dollari nell’hacking e che chiama in causa di fronte alla corte di New York  tutto il team di Nano affinché effettui una “Rescue fork” che permetta di recuperare il maltolto.

Come  ricordato da CCN, non è la prima causa del genere negli USA: una richiesta simile venne fatta nel 2017 a CoinBase relativamente a una vicenda riguardante Bitcoin Cash.  

 

Fabio Lugano
Fabio Lugano
Laureato con lode all'Università Commerciale Bocconi, Fabio è consulente aziendale e degli azionisti danneggiati delle Banche Venete. E' anche autore di Scenari Economici, e conferenziere ed analista di criptovalute dal 2016.
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