Bitcoin, Sudamerica, Cyberpunk americani e Satoshi Nakamoto sono alcuni degli ingredienti de “Il conte di Montecrypto”, il primo romanzo di Leonardo Facco.
Il protagonista del libro è Gildo Bacci, un investigatore privato che indaga sulla misteriosa scomparsa della figlia di una nobildonna milanese e le crypto hanno un ruolo chiave nella rocambolesca storia che si snoda tra Milano, Miami e il Venezuela.
Innanzitutto, com’è nata l’idea del libro?
Ho sempre avuto l’ambizione di scrivere un romanzo. Ho divulgato idee di libertà in tutti i modi possibili: scrivendo saggi, aforismi, canzoni, cantando, recitando, presenziando in radio e in televisione, usando i social e le piazze. Dopo una dozzina di libri dedicati perlopiù all’economia e alla sociologia volevo provare a cimentarmi con un linguaggio diverso, la prosa. L’idea è nata a Tenerife, dove un amico è passato a trovarmi e parlando del più e del meno, tra un panino ed una birra, mi ha dato lo spunto per una storia a metà strada tra il giallo e l’avventura. Non è un caso che il mio protagonista, Gildo Bacci, abbia mutuato il suo soprannome.
Quanto c’è di fantasia e quanto di realtà?
La storia che racconto è al 100% di fantasia, benché si innesti su molti fatti di cronaca, e personaggi, assolutamente reali, ripresi dal presente e dal passato. L’investigatore che indaga sulla scomparsa di una ragazza milanese si imbatte nel mondo indipendentista prima, poi in quello libertario, ma anche in quello dei primi cyberpunk americani e dei ribelli venezuelani, impegnati a combattere la dittatura di Maduro. L’unico cameo assolutamente reale è dedicato ai miei genitori, emigranti a Caracas, che finiscono per ospitare il detective durante la sua permanenza in Sudamerica. Lo dovevo a mio padre e mia madre, ai quali avevo promesso che prima o poi avrei scritto di loro e della loro eccezionale esperienza di vita, che da sola vale un libro.
Da quanto tempo segui il tema delle crypto e perché t’interessa?
Per la prima volta, ho sentito parlare di Bitcoin nel 2011. Fu Sergio de Prisco a parlarmene, quando quella cryptocurrency valeva poco meno di un dollaro o giù di lì. Da allora, ne ho seguito le sorti perlopiù come appassionato di economia austriaca, fino al giorno in cui ho deciso di fare anche io la mia parte come risparmiatore. Per il resto, ho diffuso articoli sull’argomento sul Miglioverde, la rivista che dirigo, e la Leonardo Facco Editore ha pubblicato un libro-dibattito intitolato “Addio vecchie monete, è l’ora di Bitcoin”. Benché i pensatoi mainstream lo diano per morto, io continuo a credere che abbia ancora molto da dire.
Nel libro si parla anche di Satoshi. Dicci di più sulla parte che lo riguarda e perché l’hai coinvolto.
Satoshi Nakamoto è tra gli uomini più conosciuti al mondo, ma nessuno sa chi sia, sa dove abiti e neppure se esista. Solo ipotesi. Da qui l’idea di farlo comparire ad un certo punto della narrazione. All’inventore di Bitcoin finalmente viene dato un volto, una storia e anche il merito di essere in qualche modo coinvolto con Montecrypto. Pagina dopo pagina, il lettore verrà incuriosito e, ad un certo punto, troverà la risposta alla fatidica domanda: “Who is Satoshi Nakamoto”?
Le investigazioni sono una parte fondamentale del libro. A tal proposito, Che idea ti sei fatto sulla reale identità di Satoshi?
La mia passione per l’investigazione viene dall’ammirazione assoluta che ho per Sherlock Holmes, di cui sono un lettore accanito, sia dei romanzi e dei racconti che compongono il canone, sia dei molti, bellissimi apocrifi scritti da autori vari. Il mio detective, ad un certo punto, con Satoshi davanti gli dice: “Quasi quasi mi metto a cercare questo Nakamoto di cui tutti parlano”. Lascio al lettore la curiosità di scoprire la risposta che gli dà l’inventore di Bitcoin. Su quale sia la reale identità di Satoshi, invece, io propendo per l’idea che sia uno di quei geni della crittografia che in passato ho avuto anche il piacere di incontrare in Costa Rica.
Ci sono affinità col “Conte di Montecristo” o ti piaceva solo l’assonanza?
Qualche affinità col racconto di Dumas c’è e la scopre proprio il protagonista del mio libro mentre si trova in Sudamerica. Dopodiché, il titolo che fa il verso al celeberrimo romanzo è anche una scelta di marketing, così da renderlo immediatamente identificabile e orecchiabile.
Nel libro si parla anche di Venezuela, Paese in crisi e con una grande percentuale di utilizzatori di crypto. Una tua riflessione sulla situazione di una nazione che conosci bene.
Il Venezuela ce l’ho nel cuore, ci ho vissuto per almeno 20 anni e mio padre è emigrato in quel paese nel 1957. Seguo con estrema attenzione le vicende venezuelane, nella fattispecie quelle economiche, ed il fatto che le crypto siano la salvezza per moltissime persone è uno dei motivi che mi fa sperare in un futuro in cui la moneta sana sostituirà definitivamente la moneta fiat, riportando le lancette dell’orologio ai tempi in cui il denaro era sound money.
Quali sono i 3 buoni motivi per leggere “Il conte di Montecrypto”?
Li prendo in prestito da chi lo ha già letto ed ha espresso il suo punto di vista:
- Perché è una storia entusiasmante, mai noiosa, d’azione, in cui vince la libertà.
- Perché affronta, con la giusta dose di idealismo, temi politici ed economici di grande attualità. Perché non mancano intense note di vibrante erotismo.
- In sintesi: sesso, sangue e soldi dicono sia la regola delle tre “S” utile ad attrarre l’attenzione di un potenziale lettore. Essendo il mio un romanzo d’esordio non potevo non rispettare quella regola.