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La Cina risponde ai dazi di Trump con controdazi

Oggi, la Cina ha risposto ai dazi di Trump, imponendo controdazi sulle importazioni di alcuni beni statunitensi.

In particolare, imporrà dazi al 15% sul grano, mais, cotone e pollo, e del 10% su sorgo, soia, carne di maiale, manzo, frutti di mare, frutta e verdura provenienti dagli Stati Uniti.

Questi controdazi entreranno in vigore il 10 marzo.

I dazi di Trump e la guerra commerciale contro la Cina

Quella avviata da Trump è a tutti gli effetti una guerra commerciale mondiale

L’obiettivo è quello di ridurre il deficit commerciale degli USA, dato che il Paese importa molto più di quanto esporta. 

Il problema è che una guerra commerciale mondiale a colpi di dazi e controdazi alla fine nuocerà a tutte le economie, compresa quella statunitense. 

In realtà, il vero scopo del Presidente Donald Trump sembra un altro. 

Se l’obiettivo rimane quello di ridurre il deficit commerciale degli USA, la strada maestra però non dovrebbe essere quella di ridurre le importazioni, ma di incrementare le esportazioni.

Di per sé, la riduzione delle importazioni potrebbe anche non essere un problema, ma se viene ottenuta imponendo dazi questo invece quasi sicuramente sarà un problema. 

Infatti, il GDPnow calcolato dalla Fed di Atlanta stima che il primo trimestre del 2025 per l’economia USA dovrebbe contrarsi addirittura del 2,8%, dopo ben undici trimestri consecutivi di aumento. 

L’ipotesi è che questa strategia sia solo un mezzo per raggiungere un altro scopo. 

Il vero problema tra Stati Uniti di Trump e Cina: i dazi come mezzo

Il vero problema di fondo è il tasso di cambio tra il dollaro USA e lo yuan cinese. 

Pare, infatti, che la Cina da tempo stia riuscendo a mantenerlo artificialmente basso, proprio con lo scopo di favorire le proprie esportazioni. 

Il fatto è che secondo alcune stime la Cina starebbe riuscendo a tenerlo decisamente molto più basso rispetto a quello che normalmente avrebbe se venisse lasciato fluttuare liberamente sul mercato. 

Basti pensare che fino ad aprile 2022 il tasso di cambio tra yuan e dollaro era di circa 0,157$, mentre da ottobre 2022 è sceso sotto 0,14$. Attualmente è a 0,137$, ovvero il 12% in meno rispetto a tre anni fa. 

Nel 2018 era stato sopra gli 0,16$, e nel 2014 anche sopra gli 0,166$.

Trump non ha potere di impedire alla Cina di tenere artificialmente basso il tasso di cambio yuan/dollaro, pertanto sta attaccando a colpi di dazi

La risposta cinese alle politiche aggressive di Trump

Per ora la risposta cinese a questi attacchi non riguarda i tassi di cambio, ma solamente i dazi

Infatti, l’attuale tasso di cambio yuan/dollaro è perfettamente in linea con quello di tre mesi fa, ed anzi è ancora inferiore rispetto agli 0,14$ che aveva prima della vittoria elettorale di Trump. 

Pertanto da un lato abbiamo gli USA che non riescono a far risalire questo tasso di cambio in modo da ridurre le importazioni dalla Cina e magari incrementare le esportazioni. 

Dall’altro lato abbiamo la Cina che non vuole piegarsi alla guerra dei dazi, perlomeno per ora, e piuttosto che lasciar apprezzare lo yuan preferisce rispondere con controdazi. 

Ciò che davvero lascia perplessi è il fatto che i dazi, ed i controdazi, tendono a nuocere anche e soprattutto a chi li impone, pertanto la strategia basata sui dazi di Trump danneggia gli stessi USA, mentre la risposta a colpi di controdazi della Cina finirà molto probabilmente per danneggiare lo stesso colosso asiatico. 

Il Dollar Index: analisi e performance 

All’interno di questo pessimo scenario si inizia però a far strada un possibile buon segnale. 

Il Dollar Index è un indice che misura proprio l’andamento della forza del dollaro USA nel corso del tempo rispetto ad altre valute globali, come in particolare euro e yuan. 

Il picco degli ultimi tempi lo ha toccato il 10 gennaio, quando si portò attorno a quota 110 punti. 

Il giorno dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca, il 20 gennaio, era già sceso a quota 108, ma di fatto quello era ancora un livello alto. Va però specificato che per questo indice due punti di differenza non sono pochi, soprattutto se vengono persi in soli dieci giorni. 

In realtà ci si aspettava che tale discesa fosse maggiore, ed invece ancora il 12 febbraio più o meno veleggiava attorno ai 108 punti. 

A partire però dal 13 febbraio sembra aver iniziato una fase calante, che potrebbe aiutare non poco a svalutare il dollaro e favorire l’export USA, se andasse avanti così per un po’. 

Oggi ad esempio è sceso per la prima volta sotto i 106 punti negli ultimi tre mesi, ma non basta. 

Prendendo come riferimento l’andamento sul lungo periodo, occorrerebbe una discesa abbondantemente sotto i 100 punti per poter far sì che possa avere impatti significativi anche sulla bilancia commerciale degli USA. 

Tra l’altro è in fase crescente da più di dieci anni, nonostante i molti alti e bassi, tanto che dieci anni fa la media era di 88 punti, con picchi minimi anche sotto gli 80 punti, mentre da giugno 2021 non è mai più sceso sotto i 90 punti. 

L’impatto sui mercati finanziari

Un quadro simile non può che avere impatti negativi anche sui mercati finanziari. 

Tuttavia se il calo del Dollar Index continuasse, prima o poi si potrebbe anche arrivare ad una situazione in cui a Trump potrebbe convenire ridurre o rimuovere i dazi. 

Va però ricordato che il Dollar Index tende a non muoversi di molto sul breve periodo, tanto che a salire da 90 a 110 punti ci mise più di un anno nel 2022. 

Fortunatamente il calo è già iniziato da quasi due mesi, quindi è anche possibile che entro fine anno possa riportarsi ampiamente sotto quota 100 punti, dando così forse un po’ di respiro anche ai mercati finanziari. 

Marco Cavicchioli
Marco Cavicchioli
"Classe 1975, Marco è stato il primo a fare divulgazione su YouTube in Italia riguardo Bitcoin. Ha fondato ilBitcoin.news ed il gruppo Facebook "Bitcoin Italia (aperto e senza scam)".
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