Se un settimanale finanziario inglese come l’Economist, nel suo ultimo numero, dedica un lungo servizio per spiegare come Bitcoin e le criptovalute potrebbero essere una forma di diversificazione per gli investitori, forse è un segnale che le valute digitali si stanno preparando per una maggiore adozione.
Summary
L’Economist porta come esempio un Premio Nobel
Secondo l’Economist, le criptovalute potrebbero rappresentare un’ottima scelta in tema di diversificazione dei propri investimenti.
Il celebre settimanale della City cita inoltre un premio Nobel per l’economia, Harry Markowitz’s, che anni fa aveva spiegato come avere un portafoglio misto fra asset meno rischiosi e quelli più rischiosi, proprio come Bitcoin, fosse necessario per avere in media rendimenti più alti dai propri investimenti.
Ed è grazie allo sviluppo di questa teoria che Markowitz ha vinto il premio Nobel per l’economia nel 1990. L’Economist quindi riporta in auge la teoria del noto economista per adattarlo ai nostri tempi ed ai portafogli, che sempre più vedono la presenza di valute digitali.
Malgrado la volatilità, il giornale inglese spiega come nel medio termine l’investimento in Bitcoin ed Ethereum, e nelle principali valute digitali, sia stato comunque uno dei rendimenti di gran lunga più redditizi.
I risultati riportati dal giornale inglese mostrano come anche durante il mercato ribassista del periodo del 2018-2019 del mercato crypto, un portafoglio con un’allocazione dell’1% a Bitcoin avrebbe offerto comunque un’opzione rischio-rendimento più elevata rispetto ad uno senza.
La correlazione fra crypto ed altri mercati finanziari
Da tempo si cerca di analizzare quale sia la correlazione fra le criptovalute e gli altri mercati finanziari tradizionali. Fino ad ora come fa notare l’articolo dell’Economist, questa correlazione è stata abbastanza bassa.
Trattandosi di un asset tutto sommato nuovo ed innovativo risulta difficile trovare una diretta correlazione con il mercato dei bond o delle azioni.
Secondo quanto scrive l’Economist, che riporta precisi dati finanziari a supporto, negli ultimi tre anni, la correlazione tra Bitcoin e azioni di tutte le aree geografiche è stata compresa tra 0,2 e 0,3. Su orizzonti temporali più lunghi sarebbe ancora più debole.
Quello che appare certo è che Bitcoin aumenta la sua attrattiva in quei paesi con grandi problemi di alta inflazione, come gran parte dei paesi africani, centroamericani, e alcuni paesi sudamericani con Venezuela ed Argentina in testa.
Nello stesso tempo fino ad ora non si è notata una chiaro collegamento fra le valute digitali e le decisioni sui tassi assunte dalle banche centrali mondiali.
Difficile valutare anche una diretta correlazione tra Bitcoin e quello che potrebbe essere, secondo molti, la sua adozione futura probabile, e cioè la riserva di valore per eccellenza, e cioè l’oro.
Bitcoin contro la finanza tradizionale
Il fatto che il Bitcoin sia nato nel 2009, dopo la crisi finanziaria del 2008, proprio per creare una moneta svincolata dal controllo di autorità regolatorie, ha creato una relazione molto difficile fra le valute digitali e il mondo della finanza tradizionale.
Le principali banche centrali del mondo, come le grandi banche d’affari da subito hanno avvertito dei pericoli insiti negli investimenti in un asset così rischioso e poco regolamentato.
La Cina, la settimana scorsa, ha vietato le criptovalute in tutto il paese, provocando un crollo immediato delle quotazioni. Ma anche la fed è da sempre molto prudente su simili strumenti finanziari.
Il rapporto fra la finanza tradizionale e le criptovalute sembra essere indirettamente correlato all’entusiasmo che invece suscita negli investitori.
Il clima però da qualche anno sembra essere cambiato almeno per quanto riguarda le grandi banche d’affari, che sempre guardano alle criptovalute come un asset di investimento che può dare importanti rendimenti.
Sul Cme nel 2019 sono stati quotati tre future sul Bitcoin, e da circa un anno una ventina di Etf presentati alla Sec aspettando ancora il via libera dalla autorità di controllo della Borsa americana.
Questo nuovo clima intorno alle criptovalute sta convincendo molte banche centrali a sviluppare progetti di valuta digitale di Stato, che possano in qualche modo essere considerati come un’alternativa regolamentata e controllata alla diffusione delle criptovalute tradizionali