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Il punto su fisco e criptovalute in Italia

Quando si parla di criptovalute, crypto-asset e fisco in Italia, il quadro normativo di riferimento resta tutt’altro che chiaro. E il fatto che molti consulenti e professionisti si siano appiattiti passivamente su alcune indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate di sicuro non aiuta ad eliminare i molti dubbi.

Le novità del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF)

Situazione questa, che potrebbe complicarsi con l’arrivo di alcune norme che impattano sul fronte del monitoraggio e della privacy. Sul quadro di incertezza normativa incombe la definitiva approvazione decreto del MEF su “modalità e tempistica con cui i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e i prestatori di servizi di portafoglio digitale sono tenuti a comunicare la propria operatività sul territorio nazionale”.

Stando alle anticipazioni, dovrebbero essere introdotti a carico degli exchange che opereranno in Italia, obblighi di monitoraggio trimestrale e di periodica comunicazione dei dati delle operazioni della loro clientela servizi all’Oam, l’Organismo che gestisce gli elenchi di agenti e mediatori creditizi. Dati che sarebbero pienamente accessibili a GdF e forze dell’ordine.

A questo si deve aggiungere che l’art. 9 del decreto capienze, solleva le pubbliche amministrazioni da una serie di obblighi che fino ad oggi hanno protetto i dati dei contribuenti. Inoltre, viene abrogato l’art. 2 del Dlgs. 196/2003, che attribuiva al Garante per la privacy il potere di intervenire e di imporre specifiche misure alla pubblica amministrazione in caso di attività di raccolta e trattamento eccessivamente sproporzionate.

Con la giustificazione del contrasto all’evasione si preclude al contribuente l’esercizio di una serie di diritti riconosciuti in base al GDPR come:

  • l’accesso ai dati trattati (art. 15);
  • il diritto alla rettifica (art. 16),
  • alla cancellazione e all’oblio (art. 17),
  • alla limitazione del trattamento (art. 18);
  • il diritto ad ottenere notifica di rettifiche, cancellazioni e limitazioni del trattamento (art. 19);
  • il diritto alla portabilità dei dati trattati (art. 20).

Soprattutto potranno essere esclusi anche il diritto di opposizione al trattamento mediante profilazione (art. 21), e il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida significativamente sulla sua persona (art. 22).

fisco criptovalute Italia
Nel quadro normativo fiscale italiano le criptovalute non sono ben regolamentate

Fisco e criptovalute, le norme che mancano in Italia

Per molti contribuenti che investono e movimentano criptovalute, questa può essere una bella fonte di preoccupazione. Parliamo di quanti non hanno capito esattamente a quali obblighi fiscali siano soggetti e che, magari, speravano nella protezione dell’anonimato, in attesa che il quadro della normativa fiscale diventasse un po’ più chiaro.

Una delle questioni più discusse e di maggior interesse per i contribuenti che decidono di fare operazioni in criptovalute, è se le plusvalenze conseguite dall’acquisto e la successiva rivendita di criptovalute siano o no, un reddito soggetto ad imposizione fiscale.

Nella normativa italiana non c’è una norma che stabilisca esplicitamente le plusvalenze ottenute dalla compravendita o lo scambio di criptovalute. Il fisco italiano lo sostiene sulla base di un assunto fondamentale: e cioè, che le criptovalute debbano essere equiparate a valute estere.

Una tesi che non è solo fortemente criticata ma che va in direzione opposta rispetto a quanto ha stabilito la Corte di Giustizia UE con la ormai arcinota sentenza Hedqvist.

La Corte, infatti, in questa sentenza ha affermato in modo netto che le criptovalute vanno considerate come mezzi di pagamento ma non possono essere equiparate a valute “legali”.

Sebbene siano numerose ed evidenti le differenze concettuali e strutturali tra valute a corso legale e criptovalute, il punto della discussione, muore qui. Questo perché non si sono registrati né specifici precedenti giurisprudenziali, né l’emissione di altri documenti di prassi che tornassero sulla questione mettendola in discussione con un atto formale.

Nel frattempo, un gran numero di professionisti incaricati di seguire la situazione fiscale e contabile di contribuenti, che hanno operato in criptovalute, si sono adagiati alla discutibile interpretazione dell’Amministrazione finanziaria.

Ammesso che sulle plusvalenze ottenute dall’acquisto e la successiva rivendita di criptovalute si debbano pagare le imposte come se si trattasse di operazioni effettuate su sterline o dollari, a che condizioni si è soggetti.

La norma che, secondo il fisco italiano, troverebbe applicazione in questo caso sarebbe quella sulla tassazione dei redditi diversi. Il meccanismo, trasferito dalle valute estere alle criptovalute, dovrebbe funzionare in questo modo: se un contribuente, nel corso dell’anno di imposta detiene criptovalute il cui valore, su tutti i suoi wallet, per più di sette giorni lavorativi di seguito nel corso dell’anno, ha superato la soglia di 51.645,69 Euro (soglia che va calcolata al “cambio vigente” al primo gennaio di quell’anno di imposta), quello stesso contribuente sarà soggetto ad imposta.

Se si supera questa soglia e dalla conversione delle criptovalute in quell’anno di imposta si ottiene un certo profitto rispetto al loro originario costo di acquisto allora su quel profitto si applicherà l’imposta.

I punti di caduta

Detto questo, però questa traslazione al mondo crypto di regole concepite in relazione ad attività su mercati “ufficiali” e regolamentati, ha una quantità di punti di caduta. Anche a voler sposare le tesi del fisco italiano, è davvero problematico, sul piano pratico, dare corso ad una loro applicazione.

Uno dei punti di caduta più evidenti è che, a differenza delle valute di stato, per le criptovalute non esiste un “cambio vigente”, perché non ci sono listini ufficiali, né mercati valutari regolamentati. E stabilire quello che può essere un valore medio attendibile nello sconfinato mondo delle quotazioni degli exchange privati è cosa alquanto complicata. Altro punto critico è che giuridicamente non è sostenibile l’equiparazione tra un wallet e un conto corrente.

La determinazione delle soglie di giacenza, che costituisce un essenziale presupposto impositivo, quindi, è un aspetto critico.

Questa interpretazione spesso accettata e data passivamente per scontata, dell’equiparazione ai fini fiscali delle criptovalute alle valute estere, non regge all’impatto di un approfondimento appena più incisivo.

Si tratta, quindi, di uno di quei temi sui quali i professionisti non dovrebbero mai arrendersi di dare battaglia. E la questione diventa ancora più complicata se si passa a considerare un’altra questione pure diffusamente sentita: quella del monitoraggio fiscale, ovvero dell’esistenza o meno di un obbligo di dichiarazione di crypto asset nel quadro RW, sulle attività finanziarie estere, della dichiarazione dei redditi. Ma di questo avremo modo di parlarne.

Luciano Quarta - The Crypto Lawyer
Luciano Quarta - The Crypto Lawyer
Luciano Quarta, avvocato tributarista in Milano, managing partner e fondatore dello studio legale tributario QRM&P, ha all’attivo molte pubblicazioni sugli aspetti legali e tributari di legal tech, intelligenza artificiale e criptovalute. Relatore in numerosi convegni sulla materia, tiene la rubrica “Tax & the city” per il quotidiano La Verità e scrive regolarmente per la rubrica Economia e tasse della testata Panorama. È membro della Commissione Giustizia Tributaria presso l’Ordine degli Avvocati di Milano ed è il referente della sede milanese dell’associazione interdisciplinare per lo studio e le applicazioni dell’intelligenza artificiale GP4AI (Global Professionals for Artificial Intelligence).
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