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Mining di Bitcoin: i problemi non sono finiti

Qualche giorno fa si è verificato un forte calo della difficulty del mining di Bitcoin. 

Tale calo ha ridotto i costi del mining, perché ha ridotto il volume di calcoli necessari in media per minare i singoli blocchi. 

Tuttavia, secondo quanto rivelato nel recente State Of The Mining Industry di Dylan LeClair e Sam Rule, questo potrebbe portare solamente ad un “sollievo temporaneo”.

Il problema dei costi del Bitcoin mining

Il problema che sta affliggendo il settore del mining crypto, ma anche tutti gli altri settori industriali energivori, è l’aumento del costo dell’energia. 

Per vari fattori, tra cui la ripresa post-pandemia, le politica monetaria molto espansiva delle banche centrali degli ultimi anni, e soprattutto la guerra in Ucraina con le conseguenti sanzioni alla Russia, i prezzi delle fonti fossili sono aumentati molto. 

Purtroppo il mining di Bitcoin utilizza ancora fonti fossili su larga scala, inoltre l’aumento del costo dell’elettricità prodotta con fonti fossili ha generato inevitabilmente una maggior pressione di acquisto anche sulle altre fonti, causando un aumento generalizzato dei prezzi dell’elettricità. 

Tale problema è destinato a perdurare ancora per diversi mesi, quindi è impossibile immaginare che a breve i miner di Bitcoin possano tirare un sospiro di sollievo nei confronti degli elevati costi della loro materia prima. 

Il fatto è che se riducessero i consumi, in modo da ridurre i costi, ridurrebbero anche le loro probabilità di riuscire a minare un blocco, dato che il mining è una competizione in cui per ogni blocco c’è sempre e soltanto un unico vincitore che incassa l’intero premio. 

La riduzione dei consumi

A dire il vero una riduzione dei consumi del mining si è verificata, dato che come spiegano LeClair e Rule a fine novembre si è registrato un calo dell’hashrate del 13,1% rispetto ai massimi storici di inizio mese. 

L’hashrate, ovvero la potenza di calcolo impegnata nel mining, è un’ottima cartina di tornasole dei consumi, perchè inevitabilmente a parità di efficienza più hashrate significa maggiori consumi, e viceversa. 

Tuttavia a partire dal 29 novembre l’hashrate è tornato leggermente a salire, indicando che i miner in questo momento non sono in realtà particolarmente intenzionati a ridurre i consumi. 

Anzi, con la riduzione della difficulty di qualche giorno fa, che di fatto aumenta anche l’efficienza oltre alla profittabilità, è possibile che abbiano deciso di incrementare l’hashrate grazie alla leggera riduzione dei costi. 

Questo fa sì che la flessione dei consumi del mining di Bitcoin sia stata minima, con il livello attuale di poco inferiore ai 260 Eh/s a livello globale che è in media soltanto del 6% inferiore a quello di inizio novembre. Basti pensare che a fine settembre, ovvero poco più di due mesi fa, tale livello era di poco superiore ai 220 Eh/s, ed un anno fa era di 180 Eh/s. 

I problemi continuano

Alla luce di ciò è fin troppo facile pronosticare che i problemi che stanno affliggendo attualmente il mining di Bitcoin siano destinati a continuare anche nei prossimi mesi. 

L’unica via di uscita rapida sembrerebbe essere un eventuale forte aumento del valore di BTC, perché l’alternativa è quella di spegnere le macchine meno efficienti, e quindi meno profittevoli. 

In questo momento infatti è possibile che vi siano in giro per il mondo diverse macchine per il mining che lavorano in perdita, e che vengono tenute accese solo nella speranza che i BTC incassati possano essere venduti in futuro a prezzo superiore a quello attuale. 

Va però ricordato che il protocollo Bitcoin non necessita affatto di un hashrate così elevato, e non lo richiede affatto. Bitcoin può funzionare benissimo anche con livelli di hashrate di gran lunga inferiori, ed è solo una scelta arbitraria dei singoli miner quella di impegnarne così tanto. 

LeClair e Rule riferiscono che ad esempio nel 2016 si verificarono diversi periodi di calo superiore al 15% dell’hashrate, mentre quest’anno per ora se ne è visto uno solo significativo, dopo i massimi di inizio novembre, ed è stato solo del 13%. 

Quindi non solo è possibile che il perdurare di valori così bassi del prezzo di BTC possa causare altre riduzioni dell’hashrate nel corso del 2023, ma va anche detto che ciò non provocherà problemi a Bitcoin, così come non li causò nel 2016. 

Il prezzo di Bitcoin e il mining

Il fatto è che tutti gli incassi dei miner di Bitcoin sono in BTC. I miner incassano solamente il premio, che in questo momento è di 6,25 BTC per ogni singolo blocco minato, e le fee pagate dai mittenti delle transazioni, anch’esse in BTC. 

L’elettricità però la pagano in valuta fiat, e questo implica che debbano vendere i BTC minati a prezzo di mercato per potersi pagare la corrente. Dato che gli incassi in BTC non cambiano molto, perchè il premio è fisso per circa 4 anni e l’incasso delle fee è di molto inferiore, una riduzione del valore di mercato di Bitcoin genera inevitabilmente un calo negli incassi reali dei miner. 

Ovviamente vale anche il contrario, ed è possibile che i miner stiano tenendo ancora accese la maggior parte delle macchine proprio perché sperano di rivendere in futuro i BTC incassati ad un prezzo maggiore rispetto a quello attuale. 

Pertanto il futuro dei miner è strettamente legato all’andamento del prezzo di Bitcoin, mentre il futuro del protocollo Bitcoin prescinde da questo andamento. 

Marco Cavicchioli
Marco Cavicchioli
"Classe 1975, Marco è stato il primo a fare divulgazione su YouTube in Italia riguardo Bitcoin. Ha fondato ilBitcoin.news ed il gruppo Facebook "Bitcoin Italia (aperto e senza scam)".
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