Clamoroso: il noto commercialista esperto di criptovalute, Stefano Capaccioli, ha scoperto una falla nella legge che norma le tasse crypto in Italia.
Si tratta di una falla tecnica involontaria dovuta alla metodologia con cui vengono modificate le leggi in Italia.
La questione pertanto è prettamente tecnica, ma Capaccioli l’ha riassunta in una recente intervista video.
Summary
La falla sulla nuova legge sulle tessa crypto in Italia
In Italia quando una legge viene modificata in genere non ne viene riscritto il testo, ma vengono aggiunti testi in documenti successivi.
Questo fa sì che spesso non esista un testo unico omnicomprensivo delle leggi italiane, e che questo quindi vada ricostruito mettendo insieme, ed in ordine cronologico, diversi testi provenienti da diversi documenti.
Nel caso specifico, il problema è nel comma c-sexies dell’articolo 67 del Tuir.
Tutto parte dal comma 2 dell’articolo 5 del DL 66/2014 relativo ai redditi diversi dell’articolo 67 del Tuir.
Nel 2014, quando fu approvato il DL 66/2014, il comma 1 dell’articolo 67 del Tuir andava dalla lettera c-bis alla lettera c-quinquies. In altre parole allora la lettera c-sexies non c’era.
All’epoca però la legge italiana non riconosceva esplicitamente le criptovalute (dette cripto-attività in gergo legale in Italia), e così in seguito al comma 1 dell’articolo 67 del Tuir fu aggiunta la lettera c-sexies relativa per l’appunto alle cripto-attività.
Questa aggiunta però fu fatta successivamente, a fine 2022 nella legge di Bilancio per il 2023, ovvero anni dopo il DL 66/2014.
Il fatto è che quel Decreto Legge di dieci anni fa introdusse una nuova aliquota per la tassazione delle plusvalenze dei redditi diversi dell’articolo 67 del Tuir, ma solo fino alla lettera c-quinquies, dato che la lettera c-sexies all’epoca non c’era ancora.
La nuova aliquota era del 26%, mentre quella precedente era del 12,5%.
Nonostante si sia sempre creduto che questo aumento di aliquota valesse per tutti i redditi diversi dell’articolo 67 del Tuir, Capaccioli ha invece scoperto che le legge dice testualmente che si applica anche al comma c ma solo fino alla lettera c-quinquies. Quella legge infatti, ovviamente, non faceva alcun cenno alla lettera c-sexies, perchè non esisteva, ma specificava esplicitamente che la nuova aliquota andava applicata solo fino alla lettera c-quinquies.
La riduzione delle tasse crypto in Italia dopo la scoperta della falla
La legge di Bilancio approvata a fine 2022 è entrata in vigore nel 2023.
Quest’anno chi aveva ottenuto plusvalenze da vendita di criptovalute nel 2023 ha dovuto pagare le tasse secondo la nuova normativa, quella inclusa nella legge di Bilancio 2023 approvata a fine 2022.
Fino alla scoperta di Capaccioli, effettuata solamente in questi ultimi giorni di ottobre 2024, praticamente tutti erano convinti che l’aliquota che si dovesse applicare alla tassazione delle plusvalenze derivanti da vendite di cripto-attività in Italia fosse del 26%, come per gli altri redditi diversi.
Invece, si sarebbe dovuta applicare l’aliquota originaria del 12,5%, dato che quella introdotta nel 2014 non poteva essere applicata anche alla lettera c-sexies del comma 1 dell’articolo 67 del Tuir relativa alle cripto-attività.
Ciò significa due cose.
Innanzitutto che anche nel 2025, quando si pagheranno le tasse sulle eventuali plusvalenze del 2024, l’aliquota da applicare in questo specifico caso sarà il 12,5%, e non il 26%.
Inoltre significa anche che chi ha già pagato il 26% può chiedere un rimborso.
D’altronde il testo della legge, se ricostruito e letto correttamente, dice senza ombra di dubbio che alle plusvalenze crypto non si debba applicare l’aliquota del 26%, ma quella originaria del 12,5%.
Le modifiche
Il motivo per cui nessuno fino ad ora se ne era accorto, nemmeno il legislatore, è duplice.
In primis perchè la legge italiana è complicata, scritta con una metodologia di aggiornamento non semplice e non lineare.
Il secondo è che fino ad ottobre 2024 non c’era mai stato un valido motivo per approfondire la questione.
Infatti proprio in questo ottobre 2024 il governo italiano ha deciso di inserire nel testo provvisorio della legge di Bilancio per il 2025, che dovrà essere approvato prima della fine del 2024, la modifica dell’aliquota al 42%.
Se il Parlamento dovesse approvare quel testo, a partire dall’anno prossimo l’aliquota sulle tasse crypto in Italia passerà dal 12,5% al 42%.
Questo aumento al 42% in realtà però non piace quasi a nessuno, tanto che ben quattro dei cinque principali partiti italiani si sono detti contrari.
Infatti il secondo maggior partito della maggioranza di governo per numero di seggi in Parlamento, la Lega, ha promesso che proporrà al parlamento un emendamento per modificare quell’aliquota, e questo oltretutto dovrebbe anche risolvere il problema generato dalla falla scoperta da Capaccioli.
Resta però piuttosto certo che tale modifica dell’aliquota non sarà retroattiva, quindi per il biennio 2023/2024 rimarrà al 12,5%.
Il colmo
Ma c’è anche di più di tutto ciò.
Innanzitutto va detto che persino i software dell’Agenzia delle Entrate sono stati programmati per applicare l’aliquota scorretta del 26% al posto che quella corretta del 12,5%, perchè prima della scoperta di Capaccioli assolutamente nessuno aveva sollevato tale questione.
In altre parole persino chi ha scritto la legge di Bilancio del 2023 che introduceva la lettera c-sexies relativa alle cripto-attività era all’oscuro di questo “problema”, ovvero del fatto che la legge del 2014 che introduceva l’aliquota del 26% non avrebbe potuto essere applicata a questa nuova lettera del comma 1.
Ma la cosa che stupisce di più è che un dossier degli uffici studi della Camera e del Senato del 26/01/2023, ovvero di pochi giorni successivo all’approvazione della legge di Bilancio che introduceva quella nuova lettera al comma 1, invitava il Governo a valutare la modifica del testo della legge del 2014 che introduceva l’aliquota al 26%, onde risolvere il problema. Tale modifica invece non è mai stata fatta.
Pertanto in realtà sia gli uffici studi della Camera e del Senato, sia il Governo, sapevano, già il mese successivo all’approvazione della legge di Bilancio del 2023, ma nessuno fece nulla per risolvere l’evidente problema.