HomeCriptovaluteCrypto e ICO, le regole in Asia e Medio Oriente

Crypto e ICO, le regole in Asia e Medio Oriente

Il Giappone è stato sin dall’inizio uno dei poli mondiali per quanto riguarda le criptovalute. Attualmente è anche all’avanguardia nella sua accettazione come strumento di scambio.

Iniziamo con il sottolineare che nel paese del Sol Levante è stata costruita una normativa per la registrazione degli exchange e il loro riconoscimento a livello statale.

Grazie a questo si è registrata una prima tornata di ben 11 istituti approvati, cui se ne sono aggiunti anche altri in seguito.

La normativa è stata poi integrata da una autoregolamentazione,con le associazioni di operatori JBCA e JBA che hanno raggiunto un accordo per la definizione di una serie di protocolli stringenti.

Soprattutto dopo quanto successo con il furto di 500 milioni in NEM dall’exchange Coincheck. Possiamo dire che si tratta di un sistema prettamente giapponese, dove l’intervento statuale è minimo perché sono gli attori stessi a darsi una regolazione.

Il Giappone è attualmente anche leader degli investimenti in criptovaluteSecondo il Japan Times a gennaio 2018, il 56% degli investimenti in bitcoin era originato in Yen, mentre il dollaro USA arrivava solo al 28,4%.

Nel paese sono ormai migliaia le aziende e le attività economiche che accettano le criptovalute come sistema di pagamento, mentre sono presenti numerosi atm che lavorano anche con prelievi e versamenti in bitcoin.

La Corea del Sud all’inizio del 2018 è stata all’origine di voci incontrollate, su possibili ban della criptovalute e regolamentazioni ferree, compresa la chiusura degli exchange.

Come risultato si sono viste delle fluttuazioni fortissime nei corsi delle criptovalute. Per dare un’idea delle dimensioni e del peso del paese asiatico, il 5,14% della valorizzazione di bitcoin deriva da trasferimenti in Won sudcoreani.

Seoul ha visto il tema delle criptovalute con sospetto fin dall’inizio, sia come un incentivo alla speculazione e alla corruzione delle nuove generazioni, fortemente coinvolte nel fenomeno, sia come un elemento di debolezza e fragilità verso la vicina e temuta Nord Corea.

In particolare, vi sono molti indizi che il paese di Kim Jong Un stia sfruttando le criptovalute per gli acquisti di contrabbando e come strumento per procurarsi valuta pregiata.

Tutto ciò, unito a una situazione politica fragile, in seguito a grossi scandali interni, ha spinto la Corea del Sud su posizioni quantomeno confuse. Prima di tutto le autorità finanziarie hanno posto un divieto sulla presentazione di ICO nel paese, quindi si è giunti all’annuncio di una chiusura degli Exchange da parte del ministro degli Interni.

Alla fine però il governo si è dovuto ricredere. Ora sta valutando un sistema di licenze simile a quello utilizzato nello stato di New York, dove chi opera in criptovalute senza una contropartita reale deve essere autorizzato dallo Stato.

Nel frattempo gli exchange ed il sistema bancario si sono dotati di una normativa estremamente stringente con politiche di identificazione degli operatori (AML-KYC) molto precise.

Il clima più rilassato ha quindi portato ad un’esplosione dell’accettazione delle valute virtuali, con il secondo store online che ha iniziato ad accettarle per i pagamenti più vari.

È recente la notizia che Kakao, il sistema di chat coreano, integrerà nel proprio sistema lo scambio di cripto.

Vediamo ora Singapore, stante che la chiusura della Cina agli Exchange ha portato ad un’esplosione dei mercati asiatici legati, direttamente o indirettamente, a Pechino.

Singapore ha preso una posizione di prima linea a causa della fortissima comunità cinese presente (circa un terzo della popolazione complessiva) e della posizione di hub finanziario già sviluppata da tempo.

In aggiunta si consideri che il paese ha  sempre avuto una visione molto positiva del mondo delle valute virtuali, considerate come legali anche se ufficialmente non sono un sistema di pagamento.

La Banca Centrale (MAS, Monetary Authority  of Singapore) sta preparando una normativa quadro per l’autorizzazione dei pagamenti direttamente in criptovalute e tiene sotto stretto controllo le ICO, con in preparazione una normativa per la tutela degli investitori.

Infine un salto in Medio Oriente a Dubai. Anzi, più in generale, tra gli Emirati Arabi Uniti, ad oggi uno degli ambienti più amichevoli per la blockchain e le criptovalute.

Dubai è stato il primo Stato ad emettere una propria valuta digitale, il Dubaicoin.

regole in Asia e Mo
DubaiCoin (DBIX) a project of Arabianchain technology

È stato anche il primo paese dove si è realizzata una transazione immobiliare pagata in bitcoin.

Legalmente ci sono ancora dei punti da chiarire, soprattutto per quanto riguarda gli EAU, ma appare chiaro che non le criptovalute sono considerate uno strumento di pagamento (e non come asset), scelta che le avrebbe sottoposti ad una possibile tassazione IVA.

In generale vi è un forte  fermento perché Dubai vuole diventare il primo hub finanziario mediorientale e quindi non può esimersi dal guardare anche alle criptovalute.

Fabio Lugano
Fabio Lugano
Laureato con lode all'Università Commerciale Bocconi, Fabio è consulente aziendale e degli azionisti danneggiati delle Banche Venete. E' anche autore di Scenari Economici, e conferenziere ed analista di criptovalute dal 2016.
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