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Antiriciclaggio: le nuove indicazioni dal MEF e le posizioni del nuovo governo sulla regolamentazione Bitcoin

Il tema dell’antiriciclaggio, così come la regolamentazione Bitcoin, è di estrema importanza per gli operatori di servizi correlati a valute virtuali e agli operatori che erogano servizi di portafoglio digitale, che ai sensi del D.Lgs. 231/2007, sono qualificati a tutti gli effetti come soggetti obbligati all’applicazione della normativa antiriciclaggio. 

Ma lo è anche, in definitiva, per gli utenti finali le cui condotte, laddove eseguono operazioni in crypto, possono essere pesantemente condizionate o limitate, soprattutto quando sono coinvolti intermediari bancari. Notoriamente, le banche (soprattutto alcune in particolare) gradiscono poco che i propri clienti armeggino criptovalute e sono sempre pronte a congelare fondi o bloccarne i trasferimenti, arrivando anche in alcuni casi a chiudere i conti correnti, con la giustificazione (o con il pretesto) della natura ipoteticamente sospetta di talune operazioni.

Questo “potere” di fatto viene attribuito agli intermediari bancari proprio dalla normativa antiriciclaggio, che impone l’obbligo di astensione in presenza di operazioni sospette. Il problema, tuttavia, è che l’insieme delle disposizioni ha una formulazione talmente ampia che non consente (o lo consente con estrema difficoltà) di verificare agevolmente se questo tipo di poteri interdittivi venga esercitato in maniera legittima e ragionevole oppure, al contrario in modo arbitrario.

Le misure antiriciclaggio e le nuove disposizioni relative alla regolamentazione Bitcoin

Ora, il MEF con una recentissima circolare (Protocollo n. 56499, che sostituisce la precedente circolare prot. N. 5. 54071 del 2017) ha fornito nuove indicazioni sui procedimenti sanzionatori in materia di antiriciclaggio.

Ovviamente, si tratta di un documento di estremo interesse per chi opera in criptovalute.

La circolare è intitolata: “istruzioni operative relative al procedimento sanzionatorio di cui all’art. 65 dlgs. 21 novembre 2007, n. 23, per come modificato dall’art. 5 d.lgs. 25 maggio 2017, n. 90, recante disposizioni per il recepimento della direttiva (UE) 2015/849 (cd. IV direttiva antiriciclaggio)”.

Essa è articolata in una parte ricognitiva e ricostruttiva, in cui passa in rassegna il novero di tutte le categorie di soggetti obbligati e si sofferma sugli obblighi cui sono sottoposti (obbligo di adeguata verifica, obbligo di segnalazione di operazione sospetta, obbligo di conservazione, etc.).

L’aspetto di maggior utilità, però, sta (o dovrebbe stare) in una serie indicazioni pratiche, operative, per l’appunto, che il ministero indirizza agli uffici centrali e a quelli territoriali del Ministero delle Finanze, rispetto ai procedimenti per l’irrogazione delle sanzioni.

Uno dei temi di maggior rilievo sta nella delineazione di tutta una serie di criteri finalizzati a stabilire in che modo debbano essere graduate le sanzioni da irrogare in caso di violazioni dell’obbligo di segnalazione di operazione sospetta. 

In relazione all’omessa segnalazione di operazioni sospette, l’art. 58 del D.Lgs. 231/2007, infatti, prevede al comma 1 una sanzione “base” (3.000 euro), ma al comma 2 si prevedono fattispecie particolarmente qualificate (e aggravate), quando la violazione sia caratterizzata per essere grave, ripetuta, sistematica e plurima.

In presenza di uno o più di questi caratteri, quindi, la legge prevede che la sanzione da applicarsi possa spaziare dai 30.000 ai 300.000 euro.

Nel documento è evidente lo sforzo esplicativo e quello di fornire dei criteri il più possibile oggettivi per una quantificazione delle sanzioni che possa resistere a possibili opposizioni.

La normativa, infatti, prevede anche una serie di criteri aggiuntivi per la modulazione delle possibili violazioni, costituiti a) dall’intensità e dal grado dell’elemento soggettivo; b) dal grado di collaborazione con le autorità; c) dalla rilevanza ed evidenza dei motivi del sospetto, anche avuto riguardo al valore dell’operazione e al grado della sua incoerenza rispetto alle caratteristiche del cliente e del relativo rapporto; d) dalla reiterazione e diffusione dei comportamenti.

Tutti elementi che, di volta in volta, vanno adeguatamente valutati e ponderati collocando l’entità della sanzione all’interno di tre scaglioni: dai 30.000 ai 120.000, dai 120.000 ai 210.000 e dai 210.000 ai 300.000 euro.

Le sanzioni in materia antiriciclaggio

Ad esempio, secondo il MEF i caratteri della sistematicità e dell’intrinseca gravità della sanzione hanno un peso ponderale maggiore e la loro eventuale ricorrenza giustificherebbe l’irrogazione di sanzioni di entità più elevata. Pertanto violazioni “plurime” e “gravi” meriterebbero una sanzione compresa tra i 120.000 e i 210.000 euro o da 210.000 a 300.000, a secondo del livello di gravità intrinseca; violazioni caratterizzate da sistematicità meriterebbero una sanzione compresa tra i 120.000 e i 210.000 euro, mentre se ricorre anche il carattere della gravità, indipendentemente dal livello di quest’ultima, andrebbe applicata senz’altro una sanzione nella fascia dai 210.000 ai 300.000 euro. A una violazione solamente “ripetuta” infine, andrebbe applicata una sanzione compresa nell’intervallo più basso, dai 30.000 ai 120.000 euro.

Gli uffici quindi, una volta individuato l’intervallo per la corretta collocazione all’interno dello stesso dovrebbero considerare i molteplici criteri previsti all’art. 67 del D.Lgs. 231/2007, quali ad esempio la durata della violazione, la capacità finanziaria del responsabile, i vantaggi ottenuti per effetto dell’illecito, l’entità del pregiudizio causato ai terzi, etc.

Interessante la precisazione secondo cui l’elevato valore dell’operazione non dovrebbe costituire di per sé elemento indicatore di anomalia, ma che esso va comunque valutato nel quadro complessivo che caratterizza sia la specifica operazione che il profilo del soggetto che la pone in essere.

Schemi analoghi vengono proposti anche con riferimento alle restanti fattispecie di violazione degli obblighi antiriciclaggio: quindi, adeguata verifica, obbligo di conservazione, etc.

La regolamentazione Bitcoin diventerà più strigente?

Ora, nonostante gli sforzi, questo atto di indirizzo non elimina gli ampi profili di opinabilità che rimangono attribuiti in capo agli uffici, sia rispetto alla effettiva sussistenza di alcune specifiche fattispecie di violazione (che spesso sono agganciate a fumosi indicatori di anomalia), sia rispetto alla sussistenza dei vari indicatori di gravità.

Resta aperto, quindi, un ampio spazio per sindacare sulla legittimità dell’operato degli uffici, eventualmente sia in fase amministrativa che in sede giudiziale. Questo, però, è possibile a patto che le motivazioni a supporto degli addebiti e a corredo della valutazione nella quantificazione delle sanzioni siano adeguatamente esplicitate ed argomentate, consentendo così di comprendere i ragionamenti che conducono all’irrogazione delle sanzioni e di valutarne i profili di logicità, ragionevolezza, proporzionalità e non contraddittorietà.

D’altro canto, è chiaro che il nodo vero risiede principalmente nel quadro legislativo di riferimento che, come già detto, da un lato è straordinariamente punitivo ed impone adempimenti gravosi, dall’altro lato attribuisce poteri sanzionatori dai confini ampi e non sufficientemente definiti.

Resta da vedere se il governo appena insediato avrà la capacità di mettere mano a questo quadro normativo: nelle sue prime dichiarazioni pubbliche, la manifestazione della volontà di innalzare le soglie di limitazione delle operazioni in contanti è un segnale importante che potrebbe evidenziare una diversa sensibilità sul tema dell’antiriciclaggio e, si auspica, anche un diverso approccio.

Un approccio che, a questo punto, dovrebbe necessariamente investire anche il campo delle criptovalute, spesso oggetto di ingiustificati pregiudizi e altrettanto spesso poste in correlazione con traffici illeciti ed evasione fiscale, e per il quale si pongono problemi non dissimili rispetto a quelli delle operazioni in contanti.

Si è già avuto modo di scrivere del fatto che la correlazione tra criptovalute ed economia criminale sia smentita, numeri alla mano, da autorevoli studi (come quello molto recente di Chainalysis) e che il quadro punitivo che emerge dalla normativa antiriciclaggio si traduca in limitazioni a carico delle imprese nel settore delle tecnologie e delle applicazioni crittografiche le cui iniziative possono produrre ricchezza ed occupazione ad alto valore aggiunto, che non fanno bene all’economia del Paese.

Non resta che attendere e vedere quali iniziative verranno intraprese dalla coalizione di maggioranza, a livello parlamentare e di governo.

Luciano Quarta - The Crypto Lawyer
Luciano Quarta - The Crypto Lawyer
Luciano Quarta, avvocato tributarista in Milano, managing partner e fondatore dello studio legale tributario QRM&P, ha all’attivo molte pubblicazioni sugli aspetti legali e tributari di legal tech, intelligenza artificiale e criptovalute. Relatore in numerosi convegni sulla materia, tiene la rubrica “Tax & the city” per il quotidiano La Verità e scrive regolarmente per la rubrica Economia e tasse della testata Panorama. È membro della Commissione Giustizia Tributaria presso l’Ordine degli Avvocati di Milano ed è il referente della sede milanese dell’associazione interdisciplinare per lo studio e le applicazioni dell’intelligenza artificiale GP4AI (Global Professionals for Artificial Intelligence).
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