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Bitcoin: il quantum computing non è un problema, per ora

Da qualche tempo a questa parte si è tornato a discutere dei problemi che potrebbe creare a Bitcoin il quantum computing. 

A dire il vero si sono anche diffuse notizie false relative ad improbabili rischi imminenti, ma non va dimenticato che il rischio in effetti c’è. 

I rischi del quantum computing per Bitcoin

Il problema principale sembra essere quello relativo alle firme delle transazioni. 

In realtà non si tratta di un problema specifico di Bitcoin, ma di qualsiasi altro protocollo informatico che utilizzi firme digitali simili. 

Il protocollo Bitcoin utilizza l’Elliptic Curve Digital Signature Algorithm (ECDSA), che utilizza le funzioni Secp256k1 e SHA256.

L’ipotesi che circola è che prima o poi il quantum computing potrebbe essere in grado di “craccare” in particolare SHA256, grazie alla sua enorme potenza di calcolo. 

Va ricordato che i computer quantistici non sono semplicemente più potenti di quelli attuali, ma lo sono immensamente di più. Sfruttando le particolarità della fisica quantistica, sono in grado di moltiplicare di migliaia o addirittura milioni di volte il numero di operazioni che possono eseguire nella medesima unità di tempo. 

I rischi attuali

Attualmente, per quanto se ne sa, non vi è alcun computer quantistico al mondo in grado di “craccare” SHA256. 

Anzi, stando a quanto dichiarato da diversi esperti, occorreranno presumibilmente ancora anni prima che sia disponibile in commercio una macchina simile. 

Tuttavia l’evoluzione di questo settore è così veloce che potrebbero non volerci molti decenni prima che si arrivi a quel punto. 

Ad esempio poche settimane fa Google ha annunciato un nuovo chip quantistico, chiamato Willow, che sarebbe in grado di risolvere in cinque minuti un compito che gli attuali supercomputer impiegherebbero moltissimi anni.

Però secondo un ex senior product manager di Google, Kevin Rose, anche Willow è ancora ben lontano dal rappresentare una minaccia per Bitcoin.

Basti dire che Willow utilizza 105 qubit, mentre secondo Rose occorrerebbero circa 13 milioni di qubit per compromettere la crittografia di Bitcoin in 24 ore.

I rischi futuri del quantum computing per la rete Bitcoin

Nonostante ciò, i rischi ci sono, anche perchè in ambito crypto vengono utilizzate diverse funzioni crittografiche che non hanno tutte lo stesso grado di resistenza ai computer quantistici. 

Occorrerà pertanto esaminarle una per una, e per tutte quelle che presentano rischi eccessivi bisognerà trovare una soluzione, iniziando da quelle che corrono rischi più imminenti. 

Per quanto riguarda Bitcoin il punto più critico, e quindi più urgente da affrontare, sembrano essere le firme. 

Anche in questo caso però non si tratta affatto di rischi imminenti, ma che potrebbero diventarlo nel giro di qualche decennio, o forse anche meno. 

La cosa rassicurante però è che tutto ciò è già ben noto, e che in alcuni casi sono già anche state trovate delle possibili soluzioni. 

Il protocollo Bitcoin però è molto difficile da aggiornare (ovvero da modificare), quindi bisogna iniziare con largo anticipo a studiare le soluzioni onde evitare di non avere poi il tempo necessario ad assicurarsi che possano essere adottate da tutti i bitcoiner. 

Le soluzioni proposte

Una di queste soluzioni è stata ipotizzata da Adam Black, unica persona ad essere stata citata da Satoshi Nakamoto nel testo del whitepaper con cui fece nascere il protocollo Bitcoin. 

https://twitter.com/adam3us/status/1870442542564614243

Secondo Back infatti si potrebbe già utilizzare ora il PQ signature opcode di Taproot con un semplice soft-fork.

Taproot utilizza le cosiddette “firme Schnorr”, che sono già ad oggi quantum resistance. 

Un soft-fork consentirebbe di utilizzare una versione aggiornata del protocollo Bitcoin compatibile con la versione precedente, quindi stando a ciò che afferma Back chiunque potrebbe utilizzare già ora, in teoria, una versione aggiornata con un soft-fork che utilizzi le firme Schnorr quantum resistance al posto di quelle non quantum resistance utilizzate ora. 

Se questa soluzione funzionasse, non sarebbe particolarmente difficile adoperarla, a differenza di un hard-fork che creerebbe invece di fatto un nuovo protocollo non compatibile con quello attualmente in uso. 

Lo stesso Back aggiunge anche che una tale soluzione potrebbe diventare necessaria solamente tra diversi decenni, e la ricerca di firme quantum resistance potrà essere aggiunta nei prossimi anni a Bitcoin come un’opzione facoltativa.

Bitcoin si rafforzerà

L’ipotesi che Back fa passare, tra le righe, è quella di un protocollo Bitcoin che finirà inevitabilmente per rafforzarsi in futuro, proprio grazie alle soluzioni che verranno introdotte per resistere agli attacchi dei computer quantistici. 

Il fatto che da un lato vi sia molto tempo a disposizione per intervenire, e che dall’altro esistano già soluzioni disponibili, fa sì che ci si possa attendere a tutti gli effetti un’evoluzione, piuttosto che un’implosione. 

Oltretutto ciò non vale solo per Bitcoin, ma anche per Ethereum e per altre piattaforme crypto. 

Anzi, dato che esistono molte piattaforme crypto, alcune delle quali anche decisamente differenti tra di loro a livello tecnico, è possibile sperimentare molte soluzioni differenti in diversi ambiti, seppur tutti informatici, così da elaborare e testare molte soluzioni differenti.

Tutto ciò rende davvero minimo, allo stato attuale, il rischio che il quantum computing possa mandare in crisi Bitcoin nei prossimi anni. Probabilmente occorrerà attendere almeno un decennio prima che tali rischi possano diventare concretamente rilevanti.

Marco Cavicchioli
Marco Cavicchioli
"Classe 1975, Marco è stato il primo a fare divulgazione su YouTube in Italia riguardo Bitcoin. Ha fondato ilBitcoin.news ed il gruppo Facebook "Bitcoin Italia (aperto e senza scam)".
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