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Coinbase: la SEC potrebbe vietare lo staking crypto

Sta facendo molto discutere un tweet di ieri del co-fondatore e CEO di Coinbase, Brian Armstrong, in merito allo staking crypto. 

Armstrong, infatti, riferisce di aver sentito voci riguardo la possibilità che la SEC possa chiedere di vietare lo staking crypto agli utenti retail. 

Coinbase, il problema dello staking crypto

Il problema alla base di questa possibile decisione della SEC, come riferisce lo stesso Armstrong di Coinbase, riguarda le security. 

La SEC, ovvero Securities and Exchange Commission, è proprio l’agenzia governativa statunitense incaricata di vigilare sui mercati finanziari delle security. E le security negli USA sono regolamentate dal Securities Act del 1933, ovvero la legge emanata dal Congresso degli Stati Uniti il ​​27 maggio 1933 dopo il crollo della Borsa del 1929.

Quindi se lo staking crypto viene considerata una security allora la SEC ha non solo il diritto, ma anche il dovere di intervenire per assicurarsi che tutto venga svolto nel pieno rispetto delle leggi. 

Le leggi statunitensi riguardo le security affermano che chi vende contratti di investimento lo può fare solo previa approvazione da parte della SEC di un prospetto informativo. 

Tale prospetto informativo per lo staking crypto non c’è, e comunque sarebbe molto difficile farselo approvare dalla SEC, quindi se lo staking crypto venisse considerato un contratto di investimento sarebbe di fatto illegale proporlo come servizio. 

I contratti di investimento hanno in genere due caratteristiche peculiari: promettono dei rendimenti finanziari, e soprattutto prevedono che il cliente si limiti ad investire denaro. Ovvero ai clienti che sottoscrivono un contratto di investimento perchè sperano di ottenere un rendimento finanziario non viene chiesto altro se non di consegnare all’emittente del contratto del denaro. 

Il problema per lo staking crypto è: va considerato un contratto di investimento? 

Cos’è lo staking crypto

In ambito crypto lo staking consiste nell’immobilizzare dei token su un nodo validatore per partecipare al processo di convalida dei nuovi blocchi che contengono le transazioni da dover registrare nella blockchain. In cambio si riceve una parte delle fee pagate dai mittenti di tali transazioni, o a volte anche un piccolo premio derivante dalla creazione di nuovi token. 

In teoria quindi chi si installa un suo nodo validatore, e vi deposita i propri token, non sottoscrive alcun contratto con nessuno. 

Ovvero non c’è nessuno che gli chiede denaro promettendogli in cambio un rendimento. Pertanto è davvero molto difficile immaginare che una tale operazione possa essere equiparata alla sottoscrizione di un contratto di investimento. 

Tuttavia, la stragrande maggioranza delle persone che fa staking di criptovalute non lo fa su un proprio nodo, ma invia i propri token ad un gestore di nodi in cambio della promessa di ottenere un rendimento. 

Ad esempio in questo momento l’APR dello staking di ETH è del 5,3% all’anno, quindi in media chi ha ETH in staking sulla nuova blockchain di Ethereum riceve ogni 12 mesi una ricompensa in ETH pari al 5,3% degli ETH messi in staking. 

Questa tipologia di investimento è possibile solo per quelle blockchain basate su Proof-of-Stake (PoS), mentre non è possibile ad esempio su Bitcoin e su tutte quelle blockchain basate su Proof-of-Work (PoW). 

Ethereum è passata da PoW a PoS a settembre dell’anno scorso. 

Quindi vi sono due modi di fare staking crypto: o da soli, sul proprio nodo validatore, o consegnando i propri token ad un gestore di nodi validatori che in cambio restituisce una parte degli incassi. 

Perchè lo staking potrebbe essere una security

Il problema pertanto sta proprio in questa seconda modalità. 

Infatti inviando i propri token ad un gestore di nodi validatori in cambio di una parte degli incassi si verificano entrambe le caratteristiche peculiari dei contratti di investimento. 

Il gestore dei nodi promette un rendimento finanziario all’investitore, e l’investitore non fa altro che dare i propri token. 

Quindi la questione sollevata dal CEO di Coinbase riguarda specificatamente tutti quei numerosi servizi, spesso offerti proprio dagli exchange, che offrono rendimenti in cambio di un investimento nello staking. 

A quanto pare la SEC sarebbe intenzionata ad intervenire per cercare di bloccare la fornitura di questi servizi ad investitori retail, ovvero privati cittadini non professionisti della finanza, e forse anche ad obbligare chi offre questo servizio agli investitori professionali di registrare i loro contratti di investimento proprio presso l’agenzia. 

I problemi che lo staking crypto potrebbe causare a Coinbase

Se la SEC dovesse riuscire a far approvare una norma simile, la moltitudine di exchange e piattaforme crypto che offrono il servizio di staking ai loro utenti dovrebbe cessare di fornirlo, in particolare agli utenti statunitensi. C’è anche il rischio che altre agenzie simili in giro per il mondo facciano altrettanto anche in altri Paesi. 

Non dovrebbe invece avere conseguenze per chi fa staking da solo con il proprio nodo validatore, ma non è affatto semplice far funzionare correttamente un nodo validatore. Inoltre ad esempio per Ethereum occorrono 32 ETH per poterlo attivare, per un controvalore attuale di oltre 52.000$. 

Per questo motivo il funzionamento delle blockchain basate su PoS non dovrebbe subire conseguenze da un’eventuale decisione del genere, perchè anzi il numero di nodi validatori paradossalmente potrebbe persino aumentare. 

Verrebbe invece proibito, negli USA, di poter partecipare allo staking senza un nodo proprio. 

Coinbase sarebbe il primo exchange a dover cessare di fornire il servizio di staking ai propri clienti. 

Il boom di Lido

Vi è, però, una sorta di eccezione a questo ragionamento. 

Infatti, alcuni servizi che offrono lo staking sono decentralizzati, ovvero non forniti da un intermediario finanziario che ha obblighi di legge. 

Non è ancora chiaro se l’eventuale nuova normativa contro lo staking crypto retail si applicherà anche ai servizi decentralizzati, ma anche se lo fosse sarebbe difficilissimo imporla, anche perchè si tratta di servizi che si utilizzano in modo anonimo e non geolocalizzato. 

Il maggior fornitore di questi servizi di staking decentralizzato è Lido, che ad oggi è già il maggior detentore di ETH in staking: 4,2 milioni, contro i 2 milioni di Coinbase che è al secondo posto, e gli 1,1 di Kraken che è al terzo. 

Quindi non stupisce affatto che oggi il token di governance di Lido DAO, LDO, stia guadagnando il 3% mentre il resto del mercato crypto langue o addirittura soffre un po’. Ad esempio Ethereum oggi perde il 2%.

Tra l’altro nel corso dei suoi due anni e mezzo di esistenza, il prezzo di LDO ha sempre oscillato tra gli 0,5$ ed i 5$, con rare e brevi eccezioni sopra e sotto queste soglie. Potrebbe pertanto trarre un forte giovamento nel caso in cui la SEC riuscisse a far approvare il divieto di offrire il servizio di staking crypto ai clienti retail. 

Alla luce di questi dati non stupisce neanche il fatto che proprio Coinbase stia cercando di battersi contro una tale decisione, mentre invece Lido non pare curarsene. 

Questa vicenda se non altro ancora una volta dimostra quanto più resilienti possano essere i servizi decentralizzati quando funzionano bene e consentono di bypassare gli intermediari finanziari grazie alle logiche P2P. 

Marco Cavicchioli
Marco Cavicchioli
"Classe 1975, Marco è stato il primo a fare divulgazione su YouTube in Italia riguardo Bitcoin. Ha fondato ilBitcoin.news ed il gruppo Facebook "Bitcoin Italia (aperto e senza scam)".
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