La guerra tra la Cina ed il mining di criptovalute da chi è stata vinta?
Summary
Il mining di Bitcoin è fuori dalla Cina
Apparentemente sembra averla vinta la Cina, visto che ad oggi risulta che lo 0% dell’hashrate di Bitcoin sia allocato in quella nazione, ma la questione è decisamente più complessa di così.
Infatti si è trattato di una vera e propria rinuncia, nonostante gli enormi guadagni che il mining di criptovalute era in grado di far ottenere ai miner cinesi.
Lo Stato cinese infatti incassava comunque una parte di quei guadagni, senza far nulla, sotto forma di tasse, imposte ed addizionali, quindi la rinuncia non è stata affatto indolore.
Ma perché la Cina ha di fatto rinunciato a fare mining di criptovalute, nonostante fosse da tempo la singola nazione al mondo che lo faceva di più, guadagnandoci quindi di più in termini assoluti?
Un problema ambientale
Il problema di fondo in realtà non è né di carattere finanziario, né di carattere politico, ma economico ed ambientale.
Il mining di criptovalute consuma molta energia elettrica. Visto che si tratta di un’attività competitiva, vince chi riesce a pagare meno l’elettricità utilizzata.
La Cina in questo è sempre stata favorita, perché in assoluto una delle fonti di energia più facilmente disponibili nel paese, ed a bassissimo costo, è il carbone. Il carbone però è anche in assoluto una delle fonti fossili più inquinanti, quindi un grande consumo energetico di elettricità prodotta con carbone causa molto inquinamento.
Il paese ormai da anni ha un serio problema con l’inquinamento, soprattutto dell’aria, ed è pertanto deciso da un po’ di ridurre il consumo di fonti inquinanti, proprio come il carbone.
Inoltre quando l’elettricità viene immessa in rete, è pressochè indistinguibile quella prodotta da fonti inquinanti da quella prodotta con fonti pulite, e questo rende impossibile impedire a chi preleva grandi quantità di elettricità dalla rete di distribuzione di utilizzare energia prodotta con fonti inquinanti.
Alla luce di ciò, il Paese asiatico ha deciso di proibire di fatto il mining di criptovalute, per impedire che vengano consumate grandi quantità di energia elettrica prodotte con fonti inquinanti.
Visto che tale decisione è il frutto dell’incapacità della Cina di vietare la produzione di energia non pulita, sostituendola con elettricità prodotta con fonti non inquinanti, questa suona più come una sconfitta della Cina, che non come una sconfitta del mining.
Inoltre, come dimostrano chiaramente i dati, la chiusura delle mining farm in Cina a giugno ha ridotto l’hashrate di Bitcoin solo temporaneamente, perché ad oggi è tornato ad essere lo stesso di giugno, se non superiore. In altri termini si è semplicemente spostato fuori dalla Cina.
Oltre al problema ambientale, il mining di criptovalute crea anche un problema economico per chi consuma elettricità per altri scopi, visto che aumenta per l’appunto i consumi, e quindi i costi.
Una sconfitta della politica
Anche in tal caso il gran rifiuto della Cina sembra essere più una sconfitta della loro politica economico-fiscale, che non una sconfitta dei miner, che semplicemente sono andati a minare altrove.
Infatti il Paese avrebbe potuto, ad esempio, imporre una maggior tassazione all’elettricità utilizzata per il mining di criptovalute, imponendo così di fatto una riduzione dei consumi. Non è un caso che, a diversi mesi di distanza, sia proprio questa la soluzione allo studio per consentire eventualmente di nuovo il mining di criptovalute in Cina, ovvero semplicemente aumentare i costi dell’elettricità per questo specifico utilizzo.
Alla luce di tutto ciò sembra che la guerra del mining non l’abbia affatto vinta la Cina, così come non l’abbiano vinta i miner cinesi. L’hanno vinta le criptovalute, ed in primis Bitcoin, che hanno recuperato tutto ciò che avevano perso a giugno.
Una guerra ai miners
La Cina ha solamente vinto la guerra contro i miner cinesi, o facendoli scappare, o facendoli chiudere a favore dei miner esteri.
Quindi se ad un’osservazione superficiale potrebbe sembrare che questa guerra sia stata vinta dalla Cina, ad un’analisi più approfondita emerge invece chiaramente che sembra proprio che l’abbiano vinta le criptovalute. Di sicuro chi l’ha persa completamente sono i miner cinesi che non si sono trasferiti a minare all’estero.