Di recente è stato pubblicato un nuovo studio approfondito su Bitcoin condotto da un consorzio di università texane.
Summary
Il report di alcune università texane sul Bitcoin
Il report in particolare si è concentrato sui primi anni di Bitcoin, ed è stato pubblicato con il titolo di “La cooperazione all’interno di un gruppo anonimo ha protetto Bitcoin durante i fallimenti della decentralizzazione” sul sito web di Aiden Lab, il centro per l’architettura del genoma umano del Baylor College of Medicine della Rice University di Houston, in Texas.
Gli autori dello studio sono Alyssa Blackburn, Christoph Huber, Yossi Eliaz, Muhammad S. Shamim, David Weisz, Goutham Seshadri, Kevin Kim, Shengqi Hang e Erez Lieberman Aiden, ovvero un gruppo di studiosi appartenenti al Center for Genome Architecture, al Department of Molecular and Human Genetics ed al Medical Scientist Training Program del Baylor College of Medicine, al Center for Theoretical Biological Physics ed al Department of Computer Science della Rice University, al Department of Physics dell’Università di Houston, ed all’Institute for Markets and Strategy della Vienna University of Economics and Business.
Utilizzando una procedura che avrebbe collegato gli indirizzi presenti sulla blockchain di Bitcoin con una sensibilità ed una specificità maggiori del 99%, lo studio ha rivelato che tra il momento del lancio effettivo di Bitcoin, il 3 gennaio 2009, e quello in cui il prezzo di BTC ha raggiunto 1$, il 2 settembre 2011, la maggior parte dei bitcoin è stata estratta da soli 64 operatori.
A dire il vero era già ampiamente noto che nei primissimi anni della sua esistenza solo pochissime persone utilizzavano Bitcoin, e che ancora meno li minavano. All’epoca oltretutto vi era un unico software, chiamato Bitcoin, che faceva sia da wallet che da nodo che da miner, quindi praticamente tutti gli utenti attivi minavano.
Visto che inizialmente venivano assegnati 50 BTC a chiunque riuscisse a minare un blocco, al ritmo di circa un nuovo blocco ogni 10 minuti, e dato che non esistevano pool, quei pochissimi utenti in questo modo si sono visti assegnare dal protocollo quasi 7 milioni di BTC.
Lo studio rivela che ciò ha prodotto una centralizzazione delle risorse così ampia che quasi tutti gli indirizzi BTC attivi oggi possono essere collegati a questi indirizzi iniziali da una catena formata al massimo da sei transazioni.
L’errore trovato nel report
Il report, però, commette un errore quando afferma che in questo modo degli aggressori potrebbero sfruttare un attacco 51% per spendere più volte gli stessi BTC, perché il fatto di possedere gran parte dei BTC non influisce minimamente sul funzionamento del protocollo che impedisce la doppia spesa.
Gli analisti che hanno condotto lo studio rivelano però che i 64 operatori iniziali hanno sempre scelto di collaborare in passato, quindi il suo successo iniziale si è basato sulla cooperazione tra un piccolo gruppo di fondatori altruisti, e non su reale decentralizzazione.
Sul fatto che inizialmente Bitcoin fosse una cosa per pochi non ci sono in realtà mai stati dubbi, ma visto che Bitcoin non è basato su Proof-of-Stake, ma su Proof-of-Work, la concentrazione dei token non ha impatto alcuno sul mining, ovvero il processo di convalida delle transazioni. Quindi non vi è alcun rischio di un attacco 51% a causa di ciò.
D’altronde tra gli analisti che hanno eseguito questo studio non sembra essercene nessuno davvero esperto di criptovalute. Anzi, la maggior parte proviene dal mondo della medicina, o della ricerca in ambito medico, ovvero un ambiente che non c’entra assolutamente nulla con quello delle criptovalute.
Uno solo proviene dal mondo dell’informatica, ed uno solo da quello dell’economia, quindi non è difficile immaginare che abbiano preso un grosso granchio confondendo il funzionamento della PoS con quello della PoW.
Tuttavia, a parte l’errore grossolano riguardo la possibilità di un attacco attuale alla blockchain di Bitcoin, ciò che hanno scoperto sui primi due anni e mezzo corrisponde a ciò che molti bitcoiner hanno sempre immaginato.