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Il nuovo Decreto semplificazioni fiscali

Il decreto-legge 21 giugno 2022, n. 73, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 21 giugno scorso, l’hanno chiamato Decreto semplificazioni fiscali.

Tra le varie norme, però, ce n’è qualcuna che non sembra affatto che miri a semplificare la vita ai contribuenti, ma piuttosto, quella del fisco.

Adesso, infatti, per il comune cittadino sarà sempre più difficile disporre liberamente del proprio denaro, senza che qualcuno possa ficcare il naso in lungo e in largo nei suoi conti ed eventualmente anche nel suo portafogli in criptovalute.

Com’è strutturato il nuovo Decreto per le “semplificazioni” fiscali

L’art. 16 del decreto introduce una modifica alla preesistente disciplina del monitoraggio fiscale.

Nello specifico interviene sull’art. 1 del DL 167/1990 che regolamenta i “trasferimenti attraverso intermediari bancari e finanziari e altri operatori”. 

Ora, fino a ieri si imponeva ad operatori finanziari e non finanziari, che intervengono anche attraverso la movimentazione di conti, nei trasferimenti da o verso l’estero, l’obbligo di trasmettere all’Agenzia delle entrate una serie di dati relativi alle operazioni di importo pari o superiore a 15.000 euro, e anche se eseguite in via frazionata.

Oggi questa soglia, per effetto del nuovo decreto, è stata drasticamente ridotta: dagli originari 15.000 a soli 5.000 euro.

Inoltre, il comma 2 dell’art. 16 del nuovo decreto impone che la segnalazione venga eseguita, diciamo così, retrospettivamente, anche su tutte le operazioni effettuate nel corso del 2021.

È stato eliminato l’obbligo di segnalazione delle operazioni frazionate, che chiaramente sarebbe diventato un inutile aggravio, una volta che vi sia un obbligo di segnalazione su importi di entità così ridotta.

Si avranno dunque nuovi controlli, sistematici e capillari, sulle operazioni dei contribuenti allo scopo del monitoraggio fiscale, e per espressa previsione della norma, investiranno anche le operazioni in criptovalute. 

Nel mirino della disposizione non ci sono le operazioni di entità imprenditoriali strutturate, come le società di capitali, ma quelle eseguite per conto o a favore di persone fisiche, enti non commerciali, società semplici e associazioni.

Il richiamo espresso all’art. 3 co. 5 lett. i) D.Lgs. 231/2007, contenuto nella disposizione, include esplicitamente, tra gli altri, anche i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale (quindi, agli exchange di criptovalute). 

Come influiranno le nuove disposizioni sulla privacy dei cittadini

privacy wallet unhosted
Le nuove disposizioni in ambito crypto non fanno altro che soffocare l’innovazione e la privacy dei cittadini onesti

Con la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale del decreto, ha preso avvio l’iter di conversione del decreto. Il che vuol dire che, in occasione dei passaggi parlamentari, almeno in teoria, l’attuale formulazione del decreto-legge, potrebbe subire modifiche con la presentazione di possibili emendamenti. Si dubita, tuttavia, che la disposizione possa andare incontro a chissà quali stravolgimenti.

Questa ulteriore stretta sui controlli, infatti, si inserisce all’interno di un quadro complessivo in cui si tende a legittimare qualsiasi misura che, per via amministrativa (e quindi, al di fuori di ogni controllo giurisdizionale), consenta di setacciare analiticamente i conti e di rovistare nelle tasche di ogni cittadino, in modo sempre più automatizzato e massivo.

È necessario sottolinearlo: uno dei punti cruciali sta nel fatto che le molte possibilità di accesso alle informazioni che riguardano i movimenti finanziari, in criptovalute e non, prescindono dalla sussistenza di specifici presupposti, anche solo di carattere indiziario, che suggeriscano condotte illecite.

In pratica, questa sta diventando una metodologia standard, presente in una molteplicità di provvedimenti normativi: si pensi alla recentissima conversione del cosiddetto decreto Pnrr 2, che prevede che gli intermediari che mettono a disposizione degli esercenti sistemi di pagamento elettronico devono trasmettere all’Agenzia delle entrate i dati relativi alle operazioni effettuate con bancomat e carte di credito, con gli importi complessivi delle transazioni giornaliere, tanto per i consumatori finali sia che per gli operatori economici.

Si pensi ancora agli obblighi di segnalazione delle operazioni in criptovalute di importo dai mille euro in su, che si vogliono introdurre con il Transfer of Funding Regulation, che intende prendere di mira, soprattutto i cosiddetti wallet unhosted, ossia quei wallet che non sono appoggiati a piattaforme.

La privacy personale è completamente messa a rischio

Senza contare quello che, sotto l’apparenza di un provvedimento con finalità antiriciclaggio, si rivela essere nella sostanza, il decreto che ha dato attuazione all’istituzione del registro OAM e all’obbligo di iscrizione per gli operatori, Vasp o Wsp che siano. Cioè la creazione, di fatto, di un’anagrafe dei detentori di criptovalute ad uso e beneficio primario ed essenziale delle autorità fiscali. Un provvedimento che tradisce il fatto che con il contrasto al riciclaggio o al finanziamento di traffici illeciti o di attività terroristiche non ha assolutamente niente a che fare.

Il problema è che questo costante processo di erosione incide su una gamma di diritti fondamentali (dal diritto di disporre liberamente dei propri beni, al diritto di libertà di trasferimento dei capitali, al diritto alla riservatezza), tutti puntualmente tutelati non solo dalla maggior parte delle carte costituzionali dei singoli Paesi membri, ma soprattutto dagli stessi trattati europei.

E attenzione: quello della tutela alla riservatezza è un diritto a cui il legislatore europeo ha dedicato un corpo normativo importante. Senza contare che, dalla conoscenza dei movimenti finanziari di un individuo è fin troppo agevole accedere ad informazioni che possono attenere alla sua sfera più intima: dalle convinzioni politiche e religiose, alle inclinazioni sessuali, ad aspetti di natura sanitaria.

Ora, fa riflettere che proprio mentre sembra che sia in dirittura d’arrivo il Transfer of Funding Regulation, con tutte le disposizioni che pongono irragionevoli limiti ad operazioni di importo minimo, nel Regno Unito, da poco affrancato dai vincoli dell’Unione, il ministero del tesoro, nell’aggiornare il corpo di regole antiriciclaggio, proprio in materia di trasferimento di fondi, ha scelto di andare in direzione opposta rispetto a quella presa dall’UE.

Perchè in UK si è scelto di non seguire le stringenti normative imposte dall’UE?

Ed è in particolare la motivazione che dovrebbe indurre a riflettere, poiché si muove dalla considerazione che molti detengono criptovalute per scopi legittimi, utilizzano wallet unhosted e nulla in concreto dimostra che questo tipo di wallet sia utilizzato prevalentemente per attività criminali, ha deciso che la raccolta di informazioni personali abbia luogo solo per quelle transazioni che presentano specifici indici e caratteri di rischio elevato che esse costituiscano il frutto di un’attività di finanza illecita.

Questo tipo di approccio, per contrasto, mette in luce quanto sta realmente accadendo all’interno dell’Unione Europea: e cioè, che si sta creando (e si sta facendo progressivamente digerire) un meccanismo di inversione dell’onere della prova. Per via presuntiva chiunque maneggi crypto asset deve dimostrare di operare legittimamente, e non il contrario.

Chi maneggia crypto è colpevole (o quanto meno sospetto) fino a prova contraria. E questo approccio si cerca di farlo accettare progressivamente come si fa con la proverbiale rana nella pentola d’acqua che scalda fino a bollirla. 

E quindi cosa accadrà? Che accetteremo tutti di veder tracciato fino all’ultimo centesimo e fino all’ultima frazione di criptovalute che deteniamo? O saremo capaci di scuoterci da questo torpore e capiremo che è arrivato il momento di mettere un punto fermo, e possibilmente di invertire, questo processo liberticida?

Luciano Quarta - The Crypto Lawyer
Luciano Quarta - The Crypto Lawyer
Luciano Quarta, avvocato tributarista in Milano, managing partner e fondatore dello studio legale tributario QRM&P, ha all’attivo molte pubblicazioni sugli aspetti legali e tributari di legal tech, intelligenza artificiale e criptovalute. Relatore in numerosi convegni sulla materia, tiene la rubrica “Tax & the city” per il quotidiano La Verità e scrive regolarmente per la rubrica Economia e tasse della testata Panorama. È membro della Commissione Giustizia Tributaria presso l’Ordine degli Avvocati di Milano ed è il referente della sede milanese dell’associazione interdisciplinare per lo studio e le applicazioni dell’intelligenza artificiale GP4AI (Global Professionals for Artificial Intelligence).
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