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Proof-of-Work: l’algoritmo di consenso di Bitcoin

La PoW (Proof-of-Work) è un algoritmo di consenso utilizzato da molte blockchain, come Bitcoin, per verificare la validità delle transazioni che avvengono sul network, le quali vengono raggruppate in blocchi e successivamente registrate sul ledger pubblico in maniera tale da poter essere consultabili da chiunque.

Tra le blockchain più conosciute che utilizzano la PoW spiccano Bitcoin, Dogecoin e Monero.

Nell’articolo di oggi andremo a spiegare il funzionamento dell’algoritmo di consenso, analizzandone punti di forza e criticità.

Proof of Work: Scopo e Funzionamento

Teorizzato per la prima volta da Hal Finney nel 2004 come Reusable-Proof-of-Work (RPOW), precursore del modello successivamente presentato da Satoshi Nakamoto nel suo famoso whitepaper, la PoW è un algoritmo di consenso che ha lo scopo di garantire il corretto funzionamento di un network decentralizzato di partecipanti anonimi senza che questi abbiano bisogno di fidarsi l’uno dell’altro.

Poiché le blockchain sono per design prive di un’autorità centralizzata (e.g. una banca) che funga da intermediario tra i partecipanti al network, questo compito spetta all’algoritmo di consenso, che ha l’importante compito di assicurarsi che ogni attore sia incentivato – economicamente – a compiere l’azione che maggiormente porti beneficio al network stesso.

Infatti, i miner vengono incentivati a validare correttamente le transazioni e a garantire la sicurezza del network attraverso le block rewards, ovvero l’emissione di nuove criptovalute che vengono date come ricompensa ai miner dopo il corretto svolgimento del loro lavoro.

Andiamo adesso ad analizzare il caso specifico di Bitcoin per capire come la PoW garantisce la sicurezza della blockchain più famosa al mondo.

Bitcoin e il meccanismo di consenso basato su Proof-of-Work

Ogni volta che vengono eseguite transazioni sulla blockchain di Bitcoin, prima di essere verificate queste vengono raggruppate, aspettando di essere inserite in un blocco. 

Ogni blocco racchiude informazioni riguardanti la data, gli indirizzi degli wallet e l’ammontare della transazione, che vengono inscritti nel block header, un numero esadecimale (ovvero in base 16) che viene prodotto dalla funzione di hash della blockchain. 

Ogni blocco che compone la blockchain comprende anche l’hash del blocco precedente, così da rendere impossibile modificare un solo blocco senza dover necessariamente modificare anche tutti i precedenti, rendendo di fatto l’operazione incredibilmente complessa e costosa.

Prima di poter aggiungere un nuovo blocco, il suo hash deve essere verificato dai miner, attraverso la risoluzione di un complesso puzzle crittografico che richiede un intenso sforzo computazionale per essere risolto. 

Essendo il mining un processo competitivo, i miner gareggiano tra di loro per essere i primi a risolvere il puzzle, validare il blocco e ricevere la ricompensa, costituita dai $BTC provenienti dalle block rewards e dalle transaction fee.

Rappresentazione visiva del processo di convalida dei blocchi di Bitcoin. Fonte: mcgrathnicol.com

Al fine di aumentare la propria competitività e le chanches di ricevere le ricompense, i miner si raggruppano nelle cosiddette “mining pools”, condividendo il proprio potere computazionale e le eventuali ricompense ottenute. 

A causa dell’elevatissima competitività odierna presente nel mining, attualmente risulta quasi impossibile ottenere ricompense senza far parte di una pool di minatori.

Le criticità della Proof-of-Work

Nel corso del tempo, non sono mancate le critiche riguardo alla PoW e al mining, principalmente focalizzate su due punti cardine: l’impatto ambientale e la centralizazzione.

Per quanto riguarda l’impatto ambientale, le critiche si basano sull’elevato consumo energetico che un’attività ad altà intensità come il mining comporta. 

Nonostante sia innegabile che il mining di criptovalute causi un forte consumo energetico, negli ultimi anni sono nate diverse iniziative che mirano ad utilizzare energie rinnovabili e/o a basso impatto ambientale per fare mining, andando così ad abbassaree considerevolmente le emissioni dei network.

Riguardo la centralizzazione, invece, le critiche si riferiscono al fatto che sia oggigiorno presente uno squilibrio nella composizione delle pool di minatori, in quanto le pool più grandi attualmente controllano una buona fetta dell’hash rate del network.

 Bitcoin’s pools distribution in the last 24h. Source: btc.com

Come mostrato dal grafico, nelle ultime 24h le quattro più grandi mining pools hanno controllato circa il 77,2% dell’hashrate del network.

Conclusioni

Nonostante negli ultimi anni ci sia stato un grande sviluppo nell’adozione della Proof-of-Stake (l’altro algoritmo di consenso dominante nel panorama crypto), specialmente in seguito al Merge di Ethereum che ha sancito il passaggio del network dalla PoW alla PoS, la Proof-of-Work viene ancora utilizzata da molteplici protocolli di grossa capitalizzazione a causa dell’elevato livello di sicurezza che garantisce.

La PoW rischia di essere completamente sostituita dalla PoS nel corso dei prossimi anni, o rimarrà uno degli algoritmi di consenso maggiormente utilizzati dalle blockchains per garantire la propria sicurezza?

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