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Crypto regulation: FAQ fiscali sulle criptovalute

Sebbene la recente legge di bilancio abbia finalmente introdotto una serie di disposizioni che contribuiscono a fare un minimo di chiarezza sul trattamento fiscale degli introiti legati alle cripto-attività, molte incertezze restano. In diversi precedenti articoli di questa rubrica abbiamo avuto modo di esaminare analiticamente il testo della legge e illustrato le principali novità.

Ancora oggi, tuttavia, nonostante la disciplina di recente introdotta, molti si interrogano su diversi aspetti del rapporto tra le loro cripto-attività e il fisco italiano.

Questa è una delle ragioni per cui, soprattutto quando si fanno frequenti operazioni di trading in cripto-asset, è sempre opportuno farsi affiancare da professionisti (avvocati o commercialisti) muniti di specifiche competenze sulla fiscalità degli asset crittografici, materia densa di complessità e di sfumature spesso di difficile inquadramento.

A supporto di operatori e utenti, ad esempio, la società di consulenza aziendale e fiscale AllCore S.p.A. ha creato un’apposita divisione denominata Crypt&Co. (cryptandco.com), in cui un pool di professionisti in ambito fiscale, legale e contabile, viene messo a disposizione della clientela per offrire servizi mirati di questo tipo, legati alla gestione e alle implicazioni legali e fiscali delle cripto-attività.

Proprio perché i dubbi sugli aspetti fiscali restano molti, oggi passiamo in rassegna gli interrogativi più frequenti che vengono posti da utenti ed operatori e proviamo a fornire una risposta sintetica.

Quali sono i principali cambiamenti introdotti con la legge di bilancio?

Con la nuova legge di bilancio, innanzitutto, si fa riferimento non più alla definizione valute virtuali (a cui faceva riferimento in precedenza l’Agenzia delle Entrate nell’ambito dei suoi atti interpretativi), ma al concetto più ampio di cripto-attività.

La conseguenza è che le disposizioni fiscali introdotte dalla legge possono trovare applicazione ad un ventaglio più ampio di asset crittografici rispetto a quelli che trovano utilizzo a scopo di semplice mezzo di pagamento (cioè come valute virtuali c.d. bidirezionali): quindi, c’è la possibilità (o il rischio) che le disposizioni possano fiscali possano interessare token di varia natura, inclusi quegli NFT che, pur non avendo una funzione di carattere strettamente monetario, potrebbero rientrare nel perimetro di applicazione di tali norme.

Altra novità importante, è che la tassazione sulle plusvalenze (o capital gain) resta, nella stessa misura precedentemente individuata per via interpretativa negli atti interpretativi dell’Agenzia delle Entrate (cioè il 26%), ma rispetto a tale interpretazione cambia il meccanismo che fa scattare l’imposta.

Prima dell’entrata in vigore della legge di bilancio (sempre secondo l’interpretazione del fisco) le plusvalenze si consideravano tassabili se nel corso dell’anno di imposta il contribuente avesse detenuto criptovalute per un controvalore superiore ai […] euro, per almeno sette giorni lavorativi di seguito. Oggi questa soglia non rileva e invece l’imposta scatta se le plusvalenze generate nel corso dell’anno di imposta supera i 2.000 euro, indipendentemente dall’ammontare complessivo delle criptovalute (o meglio, delle cripto-attività) detenute nel corso dell’anno.

Cosa si intende per plusvalenze?

In linea di principio, la plusvalenza consiste nella differenza tra il valore di acquisto e quello di realizzo, dalla vendita o dalla conversione, delle cripto-attività.

Comunemente le plusvalenze vengono generate quando si fa cash out (quindi, conversione da crypto a fiat), tuttavia, per la legge vengono qualificati come equivalenti al cash out tutti gli atti di disposizione a titolo oneroso. Quindi, ad esempio, se acquisto un bene o un servizio da un operatore che accetta crypto, il relativo controvalore dell’operazione equivale ad una forma di cash out.

Prima dell’entrata in vigore della legge finanziaria si dubitava sul fatto che le operazioni crypto-crypto (esempio scambio Bitcoin con USDT) potessero generare plusvalenze o meno. Oggi la legge stabilisce che operazioni di permuta o di conversione da crypto a crypto, che però abbiano medesime caratteristiche e funzioni, non comporta plusvalenze, ma sono fiscalmente neutre.

Resta da stabilire di volta in volta se effettivamente si possa affermare o meno che le crypto scambiate abbiano medesime caratteristiche e funzioni. Cosa che, vista la generica formulazione della disposizione, in alcuni casi potrebbe essere messa in discussione.

In concreto, come si calcola la plusvalenza?

Secondo l’interpretazione corrente, si applica il cosiddetto metodo LIFO (Last In First Out). Questo vuol dire che se nel corso dell’anno ho effettuato più acquisti (ad esempio, ho acquistato prima un certo numero di criptovalute a 9.000 euro e successivamente, ho acquistato un identico quantitativo ad un valore di acquisto di 10.000 euro), se poi rivendo quello stesso numero di criptovalute per un corrispettivo in FIAT (valute nazionali) di 15.000 euro, la mia plusvalenza andrà calcolata sulla differenza rispetto al secondo acquisto (10.000 euro) e non rispetto al primo (9.000 euro).

La plusvalenza, quindi, sarà di 5.000 euro e su quell’importo si applicherà l’aliquota di tassazione.

Quindi il calcolo della plusvalenza viene sempre e comunque fatto su l’ultimo valore d’acquisto eseguito.

Questo meccanismo, ovviamente, si complica laddove si abbia una cronistoria di operazioni molto più lunga nel tempo e più complessa (perché magari si sono operati scambi tra crypto e altre crypto, e così via).

No tax fino a 2000 €: di cosa si tratta?

Come si anticipava, il nuovo meccanismo di tassazione introdotto con la finanziaria, prende in considerazione solo le plusvalenze di importo superiore ai 2.000 euro. In pratica si tratta di una piccola no tax area in cui i piccoli investitori crypto se ottengono guadagni fino a 2.000 euro all’anno di plusvalenza non generano materia imponibile e sono sollevati dalle relative imposte.

Questo principio vale, in senso contrario per le minusvalenze.

Se queste ultime non superano la soglia di 2.000 euro, quindi, esse sono irrilevanti ai fini fiscali. Le minusvalenze in eccesso, invece, generano un credito di imposta e si possono portare in compensazione nel corso dell’anno e fino a 4 anni successivi rispetto ai redditi maturati dal contribuente.

Le norme della legge di bilancio operano retroattivamente? Ad esempio, se nel passato ho detenuto delle criptovalute, se ho fatto o non ho fatto cash out, se ho dichiarato o non ho dichiarato la detenzione, cosa succede?

Se nel passato ho detenuto criptovalute ma non fatto cash out non sono soggetto al pagamento dell’imposta sulle plusvalenze.

Si pone però il problema dell’inserimento della detenzione di crypto nella dichiarazione, ai fini del cosiddetto monitoraggio delle attività estere (il famoso quadro RW).

Anche se si tratta di una tesi discutibile, l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate prima dell’entrata in vigore della legge di bilancio era che la detenzione di criptovalute doveva essere inserita nel quadro RW sempre e comunque.

Con la legge di bilancio quest’obbligo generalizzato è stato definitivamente stabilito in modo esplicito.

La norma stabilisce anche che, se per il passato non ho dichiarato la detenzione di criptovalute nel quadro RW devo sanare gli anni arretrati con uno 0,5% anno sugli asset detenuti.

La legge poi, sempre per il passato, stabilisce che se ho fatto cash out, cioè ho convertito crypto per valuta FIAT oppure ho acquistato beni o servizi o ancora ho trasferito queste crypto a terzi soggetti (eventi tutti assimilabili al cash out), e queste operazioni hanno generato plusvalenze tassabili, dovrò sanare la mia situazione pagando il 3,5% sulle plusvalenze generate.

Se pago beni o servizi in crypto, questo cosa comporta sul piano fiscale?

Come si è già detto, il trasferimento a terzi per il pagamento di beni o servizi rientra tra le operazioni a titolo oneroso assimilate al cash out. Quindi può generare plusvalenze anche se non converto in valuta FIAT.

Questo controvalore è quello che corrisponde al valore di acquisto del bene o del servizio, sempre che generi effettivamente una plusvalenza.

Quindi, ad esempio, se acquisto un Bitcoin a 15.000 € e questo Bitcoin nel tempo arriva a valere 18.000 € in controvalore, se poi utilizzo quel bitcoin per pagare l’acquisto di un bene del valore di 18.000 € con lo stesso Bitcoin, in quel caso avrò generato una plusvalenza di 3.000 €.

Ricordiamo sempre il tema della conversione da crypto a crypto, che secondo il nuovo testo di legge non genera plusvalenze imponibili a condizione che le cripto-attività scambiate o permutate tra loro si possano dire in possesso di medesime caratteristiche e funzioni.

Cosa succede sul piano fiscale in caso di successione?

In caso di successione, il valore d’acquisto va dichiarato all’interno dell’atto di successione.

Su questo valore viene calcolata l’imposta di successione, e questo diventa il valore iniziale. La dimostrazione del costo d’acquisto in questo caso è a carico del contribuente e non del fisco.

Quindi, ad esempio, se ricevo in eredità criptovalute per un controvalore di 5.000 €, dovrò dimostrare e documentare l’originario valore di acquisto pagato dalla persona che me le ha lasciate in eredità.

Se non dovessi riuscire a dimostrare tale costo iniziale si assume un valore originario pari a zero e rischio di dover pagare le imposte su tutto il valore.

Occorre tenere presente, però, che la legge finanziaria offre l’opportunità di un affrancamento del valore di tutte le crypto possedute al 1° gennaio 2023 e pagando in 3 anni il 14% del loro valore.

Lo stesso discorso vale in caso di donazione, in cui si assume come base per l’imposizione fiscale il costo di acquisto sostenuto dal donante.

Nel caso in cui io compri un certo quantitativo di criptovalute a 10.000 € le doni quando il loro valore è salito a 20.000, la transazione viene tassata?

No, la donazione non è tassata e l’onere fiscale, anche su una futura plusvalenza, grava sul soggetto che riceve in donazione.

Come funziona l’imposta di bollo sulle criptovalute?

La legge finanziaria, oltre all’imposta sostitutiva sulle plusvalenze, impone il pagamento di un’imposta di bollo su tutte le cripto-attività detenute, pari al 2×1000 dell’intero patrimonio in cripto-attività detenuto.

In pratica si tratta, nella sostanza, di una sorta di imposta patrimoniale.

Non sono state ancora definite, tuttavia, le regole applicative da parte dell’Agenzia delle Entrate, ma ciò non toglie che dal corrente anno di imposta, si è tenuti al pagamento anche di questo particolare tributo.

Come vengono inquadrati gli NFT sul piano fiscale?

Come si è già detto, la legge finanziaria adotta la definizione di cripto-attività, che risulta più ampia rispetto alla nozione di valuta virtuale precedentemente presa in considerazione dall’Agenzia delle Entrate ai fini fiscali, la cui definizione è contenuta essenzialmente nel D.Lgs. 231/2007 (legge antiriciclaggio).

Questa nuova categoria, per come viene definita, potrebbe effettivamente includere anche gli NFT, altro non sono che token con la particolare caratteristica dell’infungibilità.

Questo può essere un problema, perché la normativa fiscale sembra non considerare la finalità pratica dei token.

Un NFT, infatti, può svolgere funzioni che possono essere molto diverse, anche se essi vengono frequentemente impiegati per incorporare opere d’arte o altre opere dell’ingegno (pezzi musicali, video, etc.).

Il che comporta la necessità di coordinare la normativa fiscale sulle cripto-attività con quella sul trattamento fiscale delle opere d’arte.

Allo stato la normativa mostra una vera e propria lacuna su questi specifici asset.

In mancanza di specifiche indicazioni normative, quindi, posto che di default gli NFT sembrano trattati alla stessa stregua delle criptovalute o di altre cripto-attività, è necessario valutare caso per caso e ricostruire un raccordo tra le varie normative astrattamente applicabili.

Cosa succede se non dichiaro e non pago le tasse?

Ormai il quadro normativo non lascia spazio a dubbi: se prima dell’entrata in vigore si potevano invocare ragioni di obiettiva incertezza sull’applicazione delle norme fiscali, e all’occorrenza appellarsi ad un legittimo affidamento che avrebbe potuto soccorrere almeno sul fronte dell’applicazione di sanzioni ed interessi, oggi questa possibilità è esclusa dal tenore chiaro della normativa recentemente adottata.

Questo comporta un obbligo incondizionato di dichiarare i redditi generati da operazioni in cripto-attività, tenendo presente che, quando si discute di importi elevati, il rischio è di incorrere in sanzioni non solo di carattere pecuniario e amministrativo, ma anche di carattere penale.

Qualora a causa della mancata dichiarazione degli introiti (anche per effetto di eventuale mancata dichiarazione delle plusvalenze) si determini l’evasione superiore ai 100.000 € di una singola imposta e, al tempo stesso l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, superi il 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque superi la soglia totale di due milioni, in questi casi, la sanzione prevista è quella della reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi.

È possibile remunerare un dipendente in criptovalute? Come funziona?

Pagare un dipendente in criptovalute è possibile, se il dipendente decide di accettarle in pagamento. In questo caso la busta paga viene espressa nella valuta avente corso legale (quindi in €) e al dipendente verrà trasferito il controvalore in criptovaluta.

Le trattenute a titolo di imposta, naturalmente, verranno calcolate sull’importo in €.

Dal momento dell’avvenuto percepimento, gli obblighi fiscali legati alla detenzione e ad eventuali plusvalenze graveranno sul dipendente.

Quindi, se non effettua cash out, il dipendente sarà tenuto esclusivamente ad inserire nel quadro RW della sua dichiarazione fiscale la detenzione delle criptovalute e a versare l’imposta di bollo per gli esercizi in cui ne mantiene la detenzione.

Se poi dovesse maturare plusvalenze tassabili (quindi, di importo superiore ai 2.000 euro), sarà suo onere dichiararle e versare le relative imposte.

Luciano Quarta - The Crypto Lawyer
Luciano Quarta - The Crypto Lawyer
Luciano Quarta, avvocato tributarista in Milano, managing partner e fondatore dello studio legale tributario QRM&P, ha all’attivo molte pubblicazioni sugli aspetti legali e tributari di legal tech, intelligenza artificiale e criptovalute. Relatore in numerosi convegni sulla materia, tiene la rubrica “Tax & the city” per il quotidiano La Verità e scrive regolarmente per la rubrica Economia e tasse della testata Panorama. È membro della Commissione Giustizia Tributaria presso l’Ordine degli Avvocati di Milano ed è il referente della sede milanese dell’associazione interdisciplinare per lo studio e le applicazioni dell’intelligenza artificiale GP4AI (Global Professionals for Artificial Intelligence).
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