In Cina vi sono molte mining farm che minano bitcoin e criptovalute. Queste farm consumano molta energia elettrica, e questo sta generando al paese un problema di sostenibilità.
Addirittura secondo uno studio pubblicato su Nature, le emissioni di CO2 generate dal crescente consumo di energia del mining di bitcoin potrebbero minacciare i suoi obiettivi riguardo il contenimento del cambiamento climatico.
Lo studio rivela che, qualora non vi siano opportuni interventi politici, il consumo energetico annuale del mining di bitcoin in Cina dovrebbe raggiungere il picco nel 2024, con 296,59 Twh, generando 130,50 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio.
Il punto chiave, come evidenziato dallo stesso studio, sono proprio gli interventi politici che potrebbero ridurre le emissioni, visto che il funzionamento di Bitcoin non richiede necessariamente tutta quell’energia.
A tal proposito però l’atteggiamento della politica cinese nei confronti del mining di bitcoin non è chiaro.
Il mining di Bitcoin in Cina
Come riferisce Sky News, nelle diverse zone della Cina ci sono politiche differenti a riguardo.
Il paese infatti è composto da ventidue province, cinque regioni autonome, quattro municipalità e due regioni amministrative speciali parzialmente autonome. Vista l’assenza da questo punto di vista di una politica nazionale, ogni regione sta agendo di fatto in autonomia.
Ad esempio nella Mongolia interna sono addirittura già state chiuse d’autorità alcune farm, mentre invece in altri luoghi dove l’energia idroelettrica è abbondante, come ad esempio in Sichuan le mining farm sono accolte positivamente addirittura adottando politiche favorevoli.
Il fatto è che ormai il mining di bitcoin può essere un business molto redditizio, se fatto con energia elettrica a basso costo, ed i governi locali hanno interesse ad incassare le tasse che applicano su quest profitti.
D’altro canto gli stessi governi locali hanno i propri obiettivi da raggiungere in merito alle emissioni di carbonio, tanto che alla fine in questo scenario c’è chi paragona il settore del mining cinese ad un selvaggio west.
In Cina ad oggi sarebbe localizzato il 65% dell’hashrate totale di Bitcoin, secondo una ricerca dell’Università di Cambridge, pertanto è sicuramente il paese più toccato da questo problema.
Va tuttavia ricordato che fondamentalmente si tratta solo di un problema politico, perché anche qualora vietassero il mining, o imponessero di utilizzare solo fonti a zero emissioni, o imponessero tasse molto elevate sull’attività di mining, la rete Bitcoin continuerebbe a funzionare senza problemi. Il consumo energetico infatti non è dovuto alle impostazioni del protocollo Bitcoin, ma alla libera scelta dei miner: sarebbe sufficienti convincerli, oppure obbligarli, a consumare di meno, ed il problema potrebbe essere risolto.