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Titoli security e criptovalute: La SEC abbandona il caso Ethereum, ma continua a perseguitare Ripple

Le ultime news del mercato crittografico parlano di nuovi risvolti sui rispettivi casi della SEC contro Ripple e Ethereum in relazione al tema security token.

L’agenzia federale statunitense ha abbandonato definitivamente tutte le indagini  sull’Ethereum Foundation, accertando che ETH non ricade all’interno della definizione di security e preparandosi così allo sbarco dell’asset nei fondi statunitensi quotati in borsa.

Nel frattempo prosegue la disputa contro Ripple, con la SEC che chiede una multa da oltre 100 milioni di dollari, in attesa della risoluzione del caso al processo che decreterà una volta per tutte se XRP deve essere considerata titoli finanziario o meno.

Tutti i dettagli di seguito.

La SEC chiude le indagini su ETH: tutto pronto per il lancio degli ETF spot

Secondo quanto riportato recentemente dallo sviluppatore crittografico Consensys, la SEC sta per abbandonare tutte le indagini sull’Ethereum Foundation, avanzate per la prima volta a marzo 2023 nell’intenzione di classificare ETH come security token.

Come riportato all’interno del post “Ethereum è sopravvissuta alla SEC” e ora gli addetti ai lavori della nota blockchain di smart contracts potranno costruire liberamente senza doversi preoccuparsi delle limitazioni normative.

Questo importantissimo traguardo per il settore arriva dopo che Consensys aveva citato in giudizio la SEC il 25 aprile, per poi ritrattare con l’agenzia il 7 giugno chiedendo la chiusura del caso.

ETH non più dunque considerato una merce finanziaria, dopo 6 anni in cui la SEC più volte ha cambiato la propria idea a riguardo. Inizialmente infatti nel 2018 si era espressa contraria a questo collegamento, per poi ritornare ad accusare gli emittenti della moneta della vendita di titoli non registrata dopo il passaggio del meccanismo di consenso della chain da PoW a PoS.

A dire il vero anche Gary Gensler, presidente della Commissione, non ha mai dato una definizione chiara e precisa riguardo Ethereum, mentre si era espresso in maniera molto più convinta per altri prodotti crittografici come quelli offerti da Ripple, Cardano, e Dash.

Durante una testimonianza al Congresso lo scorso anno, si è infatti rifiutato di rispondere alla domanda se ETH rientrasse nella definizione di security e se soddisfi i requisiti del Test di Howey. 

Ora che la SEC ha chiuso le investigazioni su Ethereum, possiamo prepararci ufficialmente al listing della criptovaluta nei mercati ETF spot degli Stati Uniti.

La Securities and Exchange Commission aveva già approvato questo genere di prodotti finanziari con sottostante in ether a maggio, ma non è stato dato il via libera alle applicazioni S-1 dei registranti.

Lo sbarco dei fondi quotati in borsa per ETH potrebbe essere ora molto vicino: indicativamente il listing è atteso entro l’inizio dell’autunno ma potrebbe arrivare anche nelle prossime settimane.

Gli asset manager come BlackRock, Fidelity e Bitwise si stanno preparando iniziando a diffondere i primi video promozionali della prossima offerta di investimento, facendo intendere che è solo questione di tempo prima che Ethereum faccia vista a Wall Street.

Nonostante la vittoria contro la SEC in una causa storica, Consensys avverte che il più ampio settore web3 potrebbe essere ancora sotto gli occhi dell’agenzia federale.

Come riporta in un post della scorsa settimana:

“La chiusura dell’indagine Ethereum è importante, ma non è una cura per i numerosi sviluppatori blockchain, fornitori di tecnologia, e i partecipanti al settore che hanno sofferto sotto il regime illegale e aggressivo di applicazione della criptovaluta della SEC”.

La SEC abbandona Ethereum, ma prosegue il caso contro Ripple: la multa da 100 milioni di dollari 

Una delle società crittografiche ancora nell’occhio del ciclone è Ripple, con la SEC motivata a classificare XRP come una security nonostante un tribunale avesse smentito questa connessione lo scorso anno.

In questo momento la Commissione federale per i titoli e gli scambi sta chiedendo alla società che gestisce l’emissione della criptovaluta, il risarcimento di ben 102,6 milioni di dollari dopo aver ridotto la somma da una multa iniziale fissata a 2 miliardi di dollari per aver venduto XRP senza una licenza.

Ripple si rifiuta di cedere a questo bullismo, ed ha recentemente proposto una sanzione di 10 milioni di dollari, citando l’accordo con Terraform Labs come giustificazione. Tuttavia, la SEC ha contrattaccato che una sanzione così bassa “non soddisferebbe gli scopi delle leggi sulle sanzioni civili”.

Il regolatore ha infatti  chiarito che Terraform Labs ha accettato di distruggere “le chiavi di tutte le sue sicurezze in asset cripto”, “restituire una quantità significativa agli investitori in quelle sicurezze”, e rimuovere “due dei membri del consiglio al comando al momento delle violazioni”.

Come affermato dalla stessa SEC:

Ripple confronta anche la dimensione della sanzione di Terraform con l’importo delle ‘vendite lorde’ di quel convenuto, sostenendo che la Corte dovrebbe imporre lo stesso rapporto (1,27%). Ma questo non è un confronto tra mele e mele”

Nel mezzo di questo dibattito, la scorsa settimana il giudice Phyllis Hamilton ha respinto quantomeno le 4 richieste di risarcimento in class action separate, pur lasciando viva la causa principale per etichettare il token di Ripple come security non registrata.

In particolare, Hamilton si è focalizzato sul fatto che Brad Garlinghouse, fondatore della società accusata, abbia promosso insistentemente la moneta nel 2017 mentre lui stesso procedeva a vendere ingenti quote sul mercato.

Nonostante il giudice Annalisa Torres avesse chiuso in precedenza il caso XRP-security, ora tutto sembra essere tornato alla ribalta: la palla ora passa al processo, che deciderà se classificare come titolo finanziario  la valuta digitale  di Ripple utilizzata per i pagamenti transfrontalieri. 

La SEC cerca di imporsi mettendo timore all’intera industria dei token digitali, al fine di “scoraggiare futuri comportamenti scorretti nel settore delle criptovalute”.

Nel frattempo, mentre l’agenzia federale limita l’espansione del settore crittografico con questi tentativi di destabilizzazione, sempre più personaggi famosi e celebrità statunitensi promuovono illegalmente dei token legati al loro nome, che inevitabilmente finiscono per far perdere denaro ai suoi investitori.

Alessandro Adami
Alessandro Adami
Laureato in "Informazione, Media e Pubblicità", da oltre 4 anni interessato al settore delle criptovalute e delle blockchain. Co-Fondatore di Tokenparty, community attiva nella diffusione di crypto-entuasiasmo. Co-fondatore di Legal Hackers Civitanova marche. Consulente nel settore delle tecnologie dell'informatica. Ethereum Fan Boy e sostenitore degli oracoli di Chainlink, crede fermamente che in futuro gli smart contract saranno centrali all'interno dello sviluppo della società.
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