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Banche nel settore crypto: opportunità, sfide e incognite

Il 2022 potrebbe essere l’anno in cui le banche romperanno gli indugi ed entreranno definitivamente nel settore crypto. 

È quel che sostiene Reuters.

Perché le banche devono entrare nel settore crypto

Bitcoin è nato come risposta ad una crisi innescata da un sistema bancario malato e sfociato nella crisi dei mutui subprime, e nell’iconico fallimento della Lehman Brothers. Ma pensare che banche e Bitcoin possano avere oggi strade diametralmente opposte è pura follia, non per la natura di Bitcoin, ma per quella delle banche. 

Per esse è semplicemente impossibile ignorare un asset da 1000 miliardi di dollari, che si accredita come bene rifugio contro l’inflazione e che attira l’attenzione degli uomini più ricchi del mondo e degli investitori istituzionali. Così come non si può ignorare l’intero settore crypto arrivato ad una capitalizzazione di 3.000 miliardi nei mesi passati.

Se le banche non intervengono, potranno solo guardare gli exchange che prenderanno il loro posto. 

Banche settore crypto
Le banche non possono ignorare Bitcoin

Le incognite

Ma cosa le frena? La mancanza di regolamentazione è un primo aspetto evidenziato da Reuters. Le autorità procedono in ordine sparso, e se c’è chi apre, ad esempio la FINMA svizzera, c’è chi resta timoroso, come la SEC che si ostina a non approvare gli ETF su Bitcoin. 

E poi, la volatilità: che servizi si possono offrire con asset in grado di oscillare del 20% in sole 24 ore? A queste domande, i team finanziari delle più grandi banche stanno cercando di dare una risposta. 

Va menzionato il fatto che il mercato delle criptovalute è aperto H24. Le banche dovranno attrezzarsi per seguire le negoziazioni ben oltre il periodo compreso tra il lunedì e il venerdì. 

Le sfide

Ad oggi le banche potrebbero decidere di cimentarsi con prestiti collateralizzati in Bitcoin. Sottrarrebbero il campo alla finanza decentralizzata. Le banche possono offrire la sicurezza di essere istituti di credito soggetti a regole e vincolate alla tutela dei clienti. Lo stesso non possono dire i protocolli DeFi, decentralizzati per natura, che hanno lottato contro hack e scam che hanno rischiato di minare la loro credibilità. 

Anche in questo caso lo scopo è sottrarre capitali alla finanza decentralizzata, che oggi vale 101 miliardi. 

Altro aspetto che preoccupa le banche è il fatto che non sono ammessi errori quando si parla di criptovalute: le transazioni non si annullano. Che sia un hack o lo sbaglio di un impiegato, i fondi spostati non tornano indietro. E questo implica che le banche dovranno lavorare su due aspetti: preparazione e sicurezza. 

C’è un’altra questione che potrebbe obbligarle a partecipare al settore crypto e blockchain: il lancio delle valute digitali di Stato, che sembra ormai scontato anche se temporalmente indefinito. Ma c’è da stare certi che un valuta digitale gestita dalle banche centrali è qualcosa con cui le banche private si troveranno sicuramente a loro agio, molto di più che con asset tipo Bitcoin o stablecoin. 

Chi è già entrato nel settore

Ci sono banche tipo JP Morgan che da tempo stanno esplorando il settore blockchain e le criptovalute. Il CEO Jamie Dimon non è un fan di Bitcoin ma ha dovuto riconoscere che ai suoi clienti interessa. Tanto basta a spiegare perché JP Morgan offra investimenti in criptovalute ai clienti con i portafogli più proficui. Non un vero e proprio servizio di trading, ma se questa è la promessa, c’è da aspettarsi che il trading prima o poi arrivi.

In Italia invece Banca Generali ha appena annunciato che consentirà ai propri clienti di fare compravendita di Bitcoin. Sarà la prima a farlo in questo paese. 

E poi ci sono realtà crypto o digitali che hanno ottenuto licenze bancarie. Ad esempio Revolut, sta evolvendo sempre di più verso una banca a tutti gli effetti. Ma anche Kraken ha ottenuto una licenza bancaria negli Stati Uniti

Segno che il destino di criptovalute e banche è tenuto ad incrociarsi. 

Eleonora Spagnolo
Eleonora Spagnolo
Giornalista con la passione per il web e il mondo digitale. È laureata con lode in Editoria multimediale all’Università La Sapienza di Roma e ha frequentato un master in Web e Social Media Marketing.
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