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Coinbase alla SEC: le crypto PoS non sono security token

Ieri il celebre exchange statunitense Coinbase ha inviato alla SEC una petizione che chiede di non considerare security token le criptovalute basate su Proof-of-Stake (PoS). 

La petizione è rivolta a Vanessa A. Countryman, segretaria della SEC (U.S. Securities and Exchange Commission) a Washington, ed è intitolata “RE: Petition for Rulemaking – “Proof-of-Stake” Blockchain Staking Services”. 

Si tratta infatti di un commento dato dall’exchange in risposta ad una precedente petizione del luglio dell’anno scorso in merito alla regolamentazione crypto. 

La petizione: Coinbase chiede alla SEC di ritrattare la definizione di security token 

La petizione inviata ieri è lunga ben 18 pagine, ed è un commento di Coinbase in risposta ad una recente della SEC, definita “sorprendente”, che suggerisce che l’agenzia possa considerare alcuni servizi di staking come costituenti un contratto di investimento, e quindi una security.

L’azione a cui fa riferimento la petizione è quella contro Kraken, che ha costretto l’altro grande exchange crypto statunitense a sospendere la fornitura del servizio di staking a tutti gli utenti USA. 

Nella petizione Coinbase si concentra su come la legge statunitense sulle security tratta i servizi relativi alla convalida dei blocchi nei protocolli crypto basati su PoS, sostenendo che lo staking non sia un concetto di operazione monolitica. 

Secondo l’exchange, alcuni dei modelli ad oggi esistenti in effetti potrebbero rientrare nella definizione di “offerte di contratti di investimento”, ma altri chiaramente no. In particolare, i principali servizi di staking non soddisferebbero i criteri dell’Howey test. 

Cosa sono e come funzionano le security?

L’Howey test fu utilizzato in un caso davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti per determinare se una transazione si qualificasse come “contratto di investimento” o no. 

Secondo l’Howey Test, si tratta di veri e propri contratti di investimento quando c’è un investimento di denaro in un’impresa comune con una ragionevole aspettativa di profitti derivanti dagli sforzi di altri.

Nel caso specifico, chi fa staking su un proprio nodo ottiene profitto validando i blocchi, ovvero non grazie a sforzi altrui. Ma chi invece affida i propri token a dei validatori terzi con la promessa che questi convalidino i blocchi ottenendone un profitto con cui pagare un rendimento finanziario sui token messi in staking potrebbe aver sottoscritto di fatto un contratto di investimento. 

Il punto chiave è che le security in USA, come del resto in quasi tutti gli altri Paesi con mercati finanziari evoluti, possono essere offerte sul mercato libero solo previa approvazione delle autorità. Tale autorità in USA è proprio la SEC. 

Quindi se alcune criptovalute basate su PoS, o alcuni servizi di staking crypto, non superano l’Howey test, ad oggi risulterebbero venduti in modo illecito. 

Per poter essere venduti in modo lecito dovrebbero richiedere e ricevere l’approvazione della SEC, e questo è uno scenario da pochi considerato verosimile. 

Ethereum e le altre criptovalute PoS

Da questo ragionamento sembrerebbe emergere che chi fa staking di ETH su un proprio nodo non dovrebbe correre alcun rischio. Il problema sarebbe per chi affida i propri ETH ad un nodo terzo perchè vengano utilizzati per la Proof-of-Stake, ricevendo in cambio un rendimento finanziario. 

Tale servizio di staking-as-a-service viene fornito da molti intermediari, tra cui molti exchange come Coinbase e Kraken. 

In questo momento, escludendo lo staking su nodi propri, la principale pool che offre questo servizio è la decentralizzata Lido, seguita proprio da Coinbase, Kraken e Binance. 

Per quanto riguarda Lido è molto difficile che la SEC possa realmente intervenire, dato che si tratta di una piattaforma decentralizzata, ma per quanto riguarda Coinbase, Kraken e Binance potrebbe farlo. Per questo Coinbase è preoccupata. 

Inoltre, va detto che ci sono altre criptovalute che consentono nativamente il delegated-Proof-of-Stake (dPoS), ovvero la gestione a livello di protocollo della messa in staking di token propri su nodi validatori terzi. 

Anche in questi casi comunque per la SEC potrebbe essere difficile intervenire, dato che se si tratta di protocolli decentralizzati sarebbe difficile per l’agenzia trovare una cosiddetta “persona giuridica” (ovvero un’impresa) su cui rifarsi.

Le obiezioni di Coinbase: le crypto PoS non sono security token

Secondo Coinbase, i servizi di staking di base non sarebbero investimenti, perchè il costo opportunità dello staking non sarebbe un investimento, dato che gli utenti non fanno altro che rinunciare temporaneamente all’utilizzo alternativo dei propri token, visto che ne mantengono la piena ed esclusiva proprietà. 

Inoltre in questi casi non esiste nemmeno un’impresa comune tra staker e fornitore del servizio, facendo venire a meno anche il concetto stesso di contratto. 

Tuttavia va detto che la consegna dei propri token ad un intermediario, come può essere un exchange centralizzato, toglie il pieno ed esclusivo possesso dei token all’utente. 

Invece sui servizi di staking core, in cui l’utente non consegna i propri token a nessun intermediario, non ci sarebbe nemmeno l’aspettativa di profitto finanziario, perchè in realtà le ottenute con lo staking sarebbero semplicemente pagamenti per i servizi di validazione dei blocchi resi. 

La questione pertanto è complessa ed ancora assolutamente aperta, con la SEC che sembra voler forzare un po’ la mano forse per poter avviare una specie di negoziato da una posizione più forte di quella che avrebbe senza questo eccesso di rigore. 

Marco Cavicchioli
Marco Cavicchioli
"Classe 1975, Marco è stato il primo a fare divulgazione su YouTube in Italia riguardo Bitcoin. Ha fondato ilBitcoin.news ed il gruppo Facebook "Bitcoin Italia (aperto e senza scam)".
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