Michael Saylor, il capo di MicroStrategy, ormai da tempo grande sostenitore e investitore di Bitcoin, ha pubblicato un lungo blog post per cercare di cancellare le leggende metropolitane che aleggiano intorno al mining di Bitcoin.
Nel post si leggono infatti una serie di punti volti a spiegare come davvero funziona il mining in termini di consumo di energia. L’articolo è rivolto a giornalisti, investitori e regolatori che sono interessati al tema al fine di evitare di cadere in preconcetti e disinformazione.
Given the sheer volume of misinformation & propaganda circulating lately, I thought it important to share the truth regarding #Bitcoin Mining and the Environment.https://t.co/CRkayFwDsj
— Michael Saylor⚡️ (@saylor) September 14, 2022
Spesso e volentieri, infatti, uno degli aspetti negativi sottolineati dai detrattori di Bitcoin è il consumo di energia causato dal mining e dalla Proof of Work (PoW), ovvero il meccanismo di consenso su cui si basa il funzionamento dell’intera blockchain di BTC.
Summary
Il mining di Bitcoin produce meno emissioni di carbonio di Google, Facebook o Netflix
In realtà, come spiega Saylor nel suo post, il mining non consuma poi così tanto, specie in rapporto ai benefici.
Nel post si legge:
“Circa 4-5 miliardi di dollari di elettricità vengono utilizzati per alimentare e proteggere una rete che ad oggi vale 420 miliardi di dollari e che regola 12 miliardi di dollari al giorno (4.000 miliardi di dollari all’anno). Il valore della produzione è 100 volte superiore al costo dell’energia immessa”.
In realtà, anche calcolando quanto consumano aziende come Google, Netflix o Facebook, Saylor giunge alla conclusione che BTC sia meno dispendioso.
Bisogna anche dire che il 99.2% delle emissioni di carbonio sono colpa delle industrie e non del mining, che rende Bitcoin sicuro rispetto ad altre criptovalute che non hanno Proof of Work ma risultano centralizzate.
Inoltre, Saylor afferma:
“Bitcoin funziona con energia in eccesso, generata ai margini della rete, in luoghi dove non c’è altra domanda, in momenti in cui nessun altro ha bisogno di elettricità”.
In effetti, nelle grandi città l’elettricità si paga circa 10-20 centesimi per kwH, mentre i miner scelgono zone dove il costo è molto inferiore (circa 5-10 volte di meno) quindi si tratta di un margine di energia economico e che non sarebbe destinato ad altri usi.
Il mining si fa anche con energia pulita e rinnovabile
Sempre secondo questa ricerca pubblicata da Saylor, il 59,5% dell’energia per il mining di bitcoin proverrebbe in realtà da fonti sostenibili e per questo l’efficienza energetica è migliorata del 46% su base annua, il che fa venir meno la tesi che Bitcoin inquina.
In effetti, anche secondo il CEO di Ark Investment, Cathie Wood, il mining si sposterà sempre più verso l’energia solare ed eolica e proprio grazie a questo un giorno Bitcoin arriverà a valere 500.000$.
Inoltre, ad aprile Ark Investment e Square, la società blockchain di Jack Dorsey, avevano realizzato una ricerca dal titolo “Bitcoin è la chiave per un futuro di energia pulita e abbondante”, in cui si sosteneva che il mining crypto inquina meno che l’estrazione di oro o l’intero sistema bancario.
Ethereum e il Merge per la Proof of Stake
Saylor potrebbe essere definito un massimalista di Bitcoin, ovvero un fermo sostenitore di BTC come unica vera crypto in cui valga la pena investire e puntare a livello tecnologico. Per questo il suo report si basa su BTC e non su altre criptovalute.
In ogni modo va detto che in generale, sicuramente la Proof of Work inquina di più di altri metodi di consenso e in questo senso il Merge di Ethereum che ha segnato oggi il passaggio dalla POW alla Proof of Stake sarà utile anche per inquinare meno.