Il 2019 ha visto il mondo dei semiconduttori transitare dai precedenti processi produttivi a 14 e 16 nanometri verso il nuovo nodo a 7 nanometri di TSMC, con enormi ripercussioni in tutto il settore dell’informatica, grazie alle possibilità offerte dai nuovi chip sempre più densi ed efficienti, in grado dunque di migliorare le performance per watt dei vari prodotti.
Questa transizione ha coinvolto anche il settore del crypto mining, dove il colosso Bitmain ha saputo giocare d’anticipo, rendendo disponibili i primi ASIC con chip realizzati a 7 nanometri per il mining di Bitcoin già alla fine del 2018.
Infatti, è proprio a metà 2018 che TSMC, il chipmaker Taiwanese leader del settore, ha avviato la produzione ad alti volumi per i wafer basati sul primo processo produttivo DUV (Deep UV Lithography) a 7 nanometri, consentendo a clienti come Apple, Huawei, AMD, Qualcomm ed anche Bitmain, di iniziare a produrre in massa dispositivi basati sui nuovi chip, oggetto di anni di progettazione.
Proprio i processi produttivi sono sempre stati un elemento chiave per lo sviluppo ed evoluzione degli apparati hardware di qualsiasi device hi-tech (dalle CPU, ai SoC mobile, alle GPU, FPGA etc), dal momento che l’avanzata dei nodi produttivi ha da sempre consentito un aumento della densità dei transistor per unità di area, mantenendo o abbassando (in base alla frequenza) il consumo energetico rispetto ai precedenti nodi.
Sfortunatamente, negli anni la corsa alle litografie sempre più spinte ha subito un corposo rallentamento, dovuto in parte ad alcune difficoltà nella produzione dei macchinari per tali nodi, in parte per l’elevato costo e basse rese offerte dai primi chip di test prodotti nei primi wafer, che hanno richiesto ulteriori raffinamenti.
Tuttavia, già l’attuale produzione a 7 nanometri ha dovuto affrontare numerosi problemi.
Summary
L’origine del sovraccarico di TSMC
I problemi della concorrenza
Il passaggio dai precedenti processi produttivi a 14 e 16 nanometri verso gli attuali 10 e 7 nanometri è stato oggetto di numerosi ritardi e problemi presso le principali fonderie.
Ad esempio, Intel ha impiegato ben due anni in più del previsto a sviluppare il proprio nodo a 10 nanometri, continuando nel frattempo a raffinare il proprio nodo a 14 nanometri, in maniera da mantenere i propri prodotti competitivi dal punto di vista delle prestazioni sacrificando parzialmente l’efficienza.
Samsung, invece, a causa di alcuni ritardi ha avviato la produzione in massa a 7 nanometri solo a 2019 inoltrato, accumulando un semestre di ritardo rispetto a TSMC. Nonostante ciò, l’azienda è riuscita sin da subito ad avvalersi della tecnologia EUV (Extreme UV Lithography) per tale nodo piuttosto che al DUV adottato da TSMC. Ciò dovrebbe garantire rese produttive e prestazioni leggermente migliori grazie al miglior patterning del layout dei chip a 7 nanometri, oltre ad un costo di produzione inferiore dovuto alla necessità di meno layer e dunque maschere.
La fonderia concorrente Global Foundries, invece, ha praticamente cancellato i propri piani di sviluppo e produzione di chip a 7 nanometri, a causa degli eccessivi problemi e costi riscontrati, stando all’annuncio effettuato nel novembre 2018.
I primi chip a 7 nanometri del 2018
Tutti questi problemi e ritardi hanno comportato una crescente domanda di chip presso l’unica fonderia in grado di produrre questi chip con rese e volumi adeguati: TSMC. Il chip maker Taiwanese infatti, ha avviato la produzione in massa dei chip a 7 nanometri nell’estate del 2018, dopo aver effettuato un corposo rodaggio con la risk production dei primi mesi dell’anno.
I primi clienti sono stati sicuramente Apple (SoC A12) e Huawei (Kirin 980), a cui sono immediatamente seguiti Qualcomm (Snapdragon 855), AMD (primi chip di test di Zen 2 e Vega 20), ed il colosso del mining Bitmain (primo chip a 7nm BM1391).
Osservando infatti i dati comunicati alla fine dell’anno 2018 da TSMC è possibile notare come circa il 10% della produzione del 2018 di wafer a 7 nanometri sia stata destinata esclusivamente al settore del crypto mining. Di questo 10%, sicuramente buona parte degli ordini sono stati eseguiti da Bitmain, dato che l’azienda ha reso disponibili sul mercato i primi ASIC Antminer S15 a 7 nanometri già nel dicembre 2018.
Aziende come Innosilion, Ebang e Whatsminer, infatti, hanno deciso di optare per il processo produttivo più economico a 10 nanometri fornito da Samsung. Solo GMO ha scelto di affidarsi ai 7 nanometri di TSMC come Bitmain, ma le pessime prestazioni dei propri prodotti le hanno fatto registrare un’ingente perdita nel settore del crypto mining, tanto che l’azienda aveva deciso di rivedere la propria posizione nell’industria delle criptovalute.
Tra i clienti di TSMC, a farla da padrona è stata (come tutti gli anni) Apple, che ha effettuato il 75% degli ordini totali per i chip a 7 nanometri, seguita dalla cinese Huawei (HiSilicon), Qualcomm ed infine AMD.
L’elevata domanda di chip nel 2019 e le mosse di Bitmain
La fame di chip a 7 nanometri nel corso del 2019 non si è affatto fermata, anzi è notevolmente incrementata grazie alla commercializzazione di diverse decine di milioni di unità di smartphone basati sul nuovo processore di Qualcomm: lo Snapdragon 855. Basti pensare che produttori come Xiaomi hanno infatti venduto quasi 5 milioni di smartphone basati su tale chip in poco meno di sei mesi (Mi 9 e Mi 9T Pro in particolare).
Vi è poi Samsung, che negli USA ha commercializzato diversi milioni di Samsung Galaxy S10 basati sul medesimo SoC (in Europa e Cina tali device usano l’Exynos 9820 invece).
A luglio poi AMD ha commercializzato i nuovi processori AMD Ryzen 3mila realizzati con chip a 7 nanometri, seguiti dalle nuove GPU Navi anch’esse prodotte a 7 nanometri. Ad agosto inoltre, sono stati resi disponibili agli OEM ed alle grande aziende i nuovi processori per server AMD Epyc di seconda generazione, sempre realizzati con il processo produttivo a 7 nanometri di TSMC. Complici le elevate prestazioni e l’ottimo rapporto prezzo/prestazioni, i chip di AMD stanno letteralmente andando a ruba, tanto che l’azienda ha avuto non poche difficoltà a garantire un’adeguata disponibilità dei propri prodotti.
Sempre in ambito smartphone, Apple ha annunciato a settembre i nuovi iPhone, basati sull’A13, nuovo SoC realizzato con un processo produttivo a 7 nanometri più avanzato (EUV) prodotto sempre da TSMC, la quale ha dovuto riconvertire alcune vecchie linee basate sui classici 7 nm DUV per fronteggiare l’elevata domanda di chip richiesta dal colosso di Cupertino. Ovviamente anche Huawei non si è tirata indietro, annunciando pochi giorni dopo il nuovo SoC Kirin 990 5G, realizzato sempre sui 7 nanometri EUV.
Sul fronte crypto mining si è verificata l’ascesa di Bitcoin nella primavera 2019, accompagnata dal debutto da parte di Bitmain dei nuovi ASIC basati sul nuovo chip a 7 nanometri BM1397, annunciati lo scorso Aprile. Ciò, catalizzato dal prezzo di Bitcoin in crescita sino a giugno, ha alimentato l’industria del mining, tanto che diversi produttori di hardware per il mining hanno segnalato un’eccessiva domanda di device, addirittura tripla alla capacità produttiva.
Proprio per questo motivo Bitmain tra la fine di giugno e l’inizio di luglio ha ordinato ben 30mila wafer di chip a 7 nanometri presso TSMC, chip la cui consegna da parte della fonderia è attesa proprio a ridosso del mese di ottobre/novembre, giusto in tempo per effettuare l’assemblaggio e consegna dei nuovi Antminer S17+ e T17+, annunciati in questi ultimi giorni.
L’attuale shortage di chip a 7 nanometri di TSMC
L’accumularsi continuo di ordini da parte di AMD ed Apple, complice un successo inaspettato per i propri prodotti, seguiti anche dai continui ordini di Qualcomm, Huawei e tante altre aziende minori, fra cui Bitmain e di recente anche Canaan, ha costretto TSMC ad allungare significativamente i tempi previsti per la consegna dei prodotti.
Proprio lo scorso mese, infatti, la fonderia ha annunciato che a seguito dell’elevata domanda di chip a 7 nanometri (sia DUV che EUV), seguita da un’ingente richiesta di chip a 10 e 14 nanometri, si è vista costretta ad aumentare il lead time (ovvero il tempo richiesto per produrre i chip una volta commissionati), dai precedenti due mesi agli attuali sei mesi. Una variazione piuttosto importante, che costringe dunque i produttori ad una pianificazione molto attenta dei nuovi prodotti, viste le tempistiche assai lunghe che potrebbero alterare la competitività e dunque gli introiti di un determinato dispositivo.
Nei prossimi mesi, quindi, la situazione potrebbe farsi molto delicata, visto che tutti gli slot produttivi del chipmaker sono saturi e, vista la situazione di leadership, probabilmente lo saranno ancora per buona parte del 2020.
I possibili effetti dello shortage nel crypto mining
Lo shortage dei chip a 7 nanometri potrebbe avere importanti ripercussioni in tutti quei settori dove le tempistiche sono spesso determinanti. Fra di essi, spiccano il mondo delle GPU, il mondo dei SoC mobile e naturalmente anche del crypto mining, in particolare degli ASIC, complice anche l’avvicinamento dell’halving di Bitcoin.
Non è un caso, infatti, che Bitmain e Canaan abbiano annunciato di recenti i nuovi ASIC per il mining di bitcoin, dal momento che ormai mancano poco meno di 7 mesi all’halving di BTC.
Entrambi i produttori prevedono di consegnare i nuovi prodotti entro la fine dell’anno, lasciando dunque una finestra temporale di circa 4/5 mesi ai miner per accumulare più BTC possibile in vista dell’halving, così da massimizzare il ROI. Difficile prevedere che cosa accadrà dopo. Molto dipenderà dal prezzo di Bitcoin ad halving avvenuto.
Se il prezzo sarà sufficientemente alto, la corsa al mining di Bitcoin potrebbe continuare. Se invece accadrà come accaduto per Litecoin si potrebbe assistere ad una discesa dell’hashrate di BTC con buona parte dei miner pronti migrare verso altre monete (BCH?) in attesa di una ripresa del prezzo di BTC.
In ogni caso, tutto il settore del crypto mining potrebbe ampiamente risentire negativamente dello shortage (Innosilicon sta già riscontrando problemi ad esempio) qualora gli ordinativi dei wafer effettuati dai vari produttori si rivelassero insufficienti alla domanda di prodotti per il crypto mining. In tal caso, si potrebbe assistere ad una crescita significativa dei prezzi degli ASIC per il mining, causata dalla scarsità di prodotti disponibili sul mercato.
Una situazione che si è già verificata più volte in passato. Ad esempio, le schede video nel 2017 andarono letteralmente a ruba, con prezzi più che triplicati. Oppure, tornando ai giorni nostri, nel corso dei mesi estivi spesso sono state riscontrate difficoltà nel reperire i nuovi Antminer, vista l’eccessiva domanda.
Se ad una già elevata domanda di prodotti si dovesse pure aggiungere l’aggravante della mancanza di chip, il prezzo degli ASIC potrebbe facilmente duplicare, triplicare o salire ancor di più, anche se molto dipenderà dal prezzo di Bitcoin, da sempre un fattore cruciale per determinare la profittabilità del mining.
Possibili effetti anche sul mining di Monero
Il prossimo 30 novembre Monero tramite un fork passerà al nuovo Proof of Work RandomX, un PoW CPU friendly. Questo nuovo meccanismo di Proof of Work eliminerà nuovamente gli ASIC ed FPGA dal mining della criptovaluta. Non solo, dal momento che la resa nel mining delle schede video calerà drasticamente, inizialmente rimarranno idonee al crypto mining solamente le CPU.
Nelle ultime settimane sono stati resi disponibili i primi tool di mining compatibili con RandomX, così da consentire agli utenti di valutare direttamente le prestazioni nel mining con il futuro PoW di Monero.
Dai primi test effettuati, tra tutti i processori testati è emerso un interessante vantaggio prestazionale per le nuove CPU AMD Ryzen, in particolare per la terza generazione di CPU basata sull’architettura ZEN 2 realizzata sui chip a 7 nanometri di TSMC. Questi particolari modelli di CPU infatti, vantano grossi quantitativi di Cache di primo, secondo e terzo livello, praticamente il doppio rispetto alle prima e seconda generazione di AMD Ryzen ed alle attuali soluzioni offerte da Intel.
Attualmente, il modello più performante è sicuramente il Ryzen 9 3900x, munito di ben 12 core e 24 thread ad un clock base di 3.8 GHz. Tale CPU riesce raggiungere un hashrate prossimo agli 11500-12000 H/s, con un consumo di circa 150 Watt. Tuttavia il prezzo non è dei più economici, in quanto è difficile trovare il Ryzen 3900x a meno di 600 euro.
Il modello invece con il maggior rapporto prezzo/prestazioni è sicuramente il Ryzen 5 3600, una soluzione con sei core e 12 thread operante ad un clock base di 3.6 GHz. Esso infatti, riesce ad ottenere un hashrate fino a quasi 6300 Hash/s, il tutto con un consumo di circa 80-90 Watt per la sola CPU ed un prezzo inferiore ai 190 euro.
Il successo di Ryzen 3mila e lo shortage
Al momento, complice le elevate prestazioni per prezzo offerte da queste CPU in tutti i settori (non solo nel mining), le vendite registrate da AMD si sono rivelate superiori alle aspettative, comportando non poche difficoltà nel trovare i modelli più performanti, in particolare il 3900X ed il futuro 3950X, due soluzioni molto gettonate anche nel mining su RandomX.
Con lo spostamento dei miner di Monero dalle GPU alle CPU, molti opteranno per la realizzazione di sistemi basati sui nuovi processori AMD Ryzen 3mila (oltre ai futuri Threadripper 3mila), rischiando di andare a compromettere ulteriormente la già elevata domanda di tali prodotti.
Come accennato in precedenza per gli ASIC, il mix fra l’interesse dei miner e l’interesse notevole dei clienti di AMD (date le ottime prestazioni di tali CPU) combinati con lo shortage dei chip a 7 nanometri su cui esse si basano, potrebbe avere ripercussioni estreme sui prezzi di tali prodotti, che già oggi risultano praticamente introvabili ai prezzi di listino (si fa riferimento al 3900X) data l’elevata domanda.
Occorrerà dunque valutare bene cosa accadrà a fine novembre e durante il mese di dicembre sul network di Monero, ma già in queste ultime settimane diverse monete secondarie (ARQ, DERO, LUX) stanno passando al PoW RandomX, facendo dunque ulteriormente incrementare l’interesse per tali CPU.
Il futuro dei semiconduttori
Samsung arriva in aiuto con la produzione dei chip a 7 nanometri EUV
Tra tutte le notizie negative delle ultime settimane nel mondo dei semiconduttori, proprio durante la stagione estiva Samsung ha avviato la produzione in massa dei chip a 7 nanometri EUV, affiancandosi dunque all’unico produttore presente sino ad oggi, ovvero TSMC.
Tuttavia, essendo Samsung oltre che una fonderia per clienti di terze parti anche un produttore di numerosi prodotti basati sui suoi chip, è assai probabile che il colosso sud-coreano dia inizialmente priorità ai propri prodotti, in particolare al nuovo SoC Exynos 9825 utilizzato sullo smartphone fresco di annuncio Galaxy Note 10. Non solo, il produttore sudcoreano è sicuramente già al lavoro sul futuro Exynos 9830, atteso sul futuro Galaxy S11, il quale debutterà nel corso di febbraio 2020.
In ogni caso, l’azienda pare aver dato un discreta capacità produttiva per chip a 7 nanometri EUV nel corso dei primi mesi del 2020. Uno dei primi clienti ad aver già assegnato la propria produzione è Nvidia, che proprio durante il 2020 annuncerà le nuove schede video Ampere a 7 nanometri.
In ambito crypto mining, è assai probabile che Innosilicon (già cliente di Samsung), possa approfittare dei 7 nanometri EUV per effettuare un DIE Shrink dei propri ASIC attualmente realizzati sempre presso Samsung ma a 10 nanometri. Ciò potrebbe avvenire già nella prima parte del 2020, anche se molto dipenderà dalle rese e slot produttivi allocati da Samsung stessa.
Verso i 5 nanometri nel tardo 2020
Subito dopo i 7 nanometri EUV (detti anche 7nm+) TSMC ha già annunciato la propria intenzione di voler avviare la produzione di chip a 5 nanometri EUV, offrendo una riduzione dell’area a parità di transitor pari al 40% ed un incremento del 15% delle prestazioni mantenendo i medesimi consumi.
I primi chip a 5 nanometri verranno prodotti in volumi già a metà del 2020, anche se la risk production partirà nei primi mesi dell’anno. Come sempre, il primo cliente sarà Apple, con i processori dei futuri iPhone 2020.
Difficilmente assisteremo al debutto di ASIC su tale processo produttivo prima dell’inizio del 2021, complici i costi delle prime produzioni, sostenibili solo da aziende con grossi volumi di produzione. Forse Bitmain proporrà un ASIC con chip a 5 nanometri all’inizio del 2021 (presunto Antminer S19 o S21), ma come sempre molto dipenderà dal prezzo di Bitcoin, che, considerato anche l’halving del 2020, dovrà rendere conveniente gli elevati costi di progettazione e sviluppo per i futuri chip a 5 nanometri.