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Negli ultimi 6 anni gli exchange di criptovalute come Coinbase hanno aumentato di molto le spese per le attività di lobbying

Tra le sfide che il settore delle criptovalute deve affrontare c’è la questione della regolamentazione e delle nuove leggi che vengono emanate, che potrebbero  far risplendere o allo stesso tempo rovinare le attività commerciali svolte dagli exchange di criptovalute. A tal proposito Coinbase nel 2022 ha speso 3,39 milioni di dollari per influenzare le politiche a loro favore.

Coinbase aumenta vertiginosamente le spese di lobbying negli ultimi 6 anni

Il lobbismo spesso viene etichettato come banalmente corruzione da chi non conosce i concetti della democrazia partecipativa. Questo tipo di attività è protetta dalla Costituzione degli Stati Uniti d’America ed avviene in maniere segreta in ogni paese.

Un conto è
pagare tangenti per ottenere favori ed azioni politiche mirate per avvantaggiare in maniera illecita il business di alcune società, cosa che è stata svolta recentemente dal criminale Sam Bankman Fried.

Un altro paio di maniche riguarda invece la creazione di campagne pubbliche da parte di individui o organizzazioni per influenzare le decisioni dei funzionari pubblici a favore dei loro programmi.

Le spese che l’exchange di criptovalute Coinbase ha sostenuto negli ultimi anni per  fare in modo che i funzionari eletti approvino specifiche azioni sono cresciute molto negli ultimi 6 anni. Basti pensare che nel 2017 Coinbase ha speso “solamente” 80.000 dollari per questo genere di attività. Mentre, nel 2021 ha speso circa 1,52 milioni di dollari fino ad arrivare nel 2022 in cui la cifra ha raggiunto e superato la quota 3 milioni di dollari.

Si tratta di un
incremento del 4137% negli ultimi 6 anni. Una cifra spaventosa, che rapportata però alla crescita che l’exchange ha avuto in termini di guadagni e reputazione diventa quantomeno poco rilevante. Considerando infatti che nel 2022 Coinbase ha avuto entrate per 3,19 miliardi di dollari, le spese di lobbying sostenute dalla società americana ammontano allo 0.1% rispetto al denaro entrato nelle loro casse nell’intero anno.

Al di là di ciò resta comunque interessante vedere come in proporzione le spese per questo genere di attività crescano a dismisura anno dopo anno. Nel 2022 Coinbase ha utilizzato ben 32 lobbisti,  di cui 26 revolver  ovvero soggetti che lavorano nel settore pubblico che decidono di accettare lavori presso società di lobbying.

Oltre Coinbase anche altre società crypto hanno aumentato le proprie spese di Lobbying

Coinbase non è l’unica azienda crypto-friendly ad aver speso molto denaro per le spese di lobbying nel 2022.
Seppur posizionata al primo posto in classifica per spese nell’influenzamento delle decisioni politiche, ci sono numerose altre società che possono vantare numeri milionari in questo contesto.

Subito dopo Coinbase infatti troviamo
Blockchain Association che nel 2022 ha speso 1,9 milioni di dollari ingaggiando 18 lobbisti di cui 12 revolver. La società sta cercando di promuovere l’uso della tecnologia blockchain influenzano la politica nazionale degli Stati Uniti per incrementare le proprie quote di mercato.

All’interno del consiglio d’amministrazione troviamo progetti come Uniswap, Ledger, Kraken e Filecoin. In terza posizione troviamo RobinHood, società che offre servizi di trading online di stock e crypto. Quest’ultima, nel 2022 ha speso 1,84 milioni di dollari assumendo 20 lobbisti di cui 12 revolver cercando di ottenere regolamentazioni favorevoli per la libera compravendita di criptovalute.

Considerate che nel primo trimestre del 2023 il trading di Dogecoin,
 il quale logo appare in questo momento in maniera sgargiante al posto dell’uccellino blu sul social media twitter, ha guidato gli incassi della piattaforma Robinhood, rappresentando da solo circa il 17%.

Piccola curiosità: ricordate  la bolla scoppiata sull’azione di Game Stop (GME) in cui molti fondi di investimento rischiavano di chiudere i battenti a causa del forte “short squeeze” causato da una miriade di piccoli trader? Bene è partita proprio dalla piattaforma di Robinhood. Nell’immagine seguente potete osservare le 15 principali aziende che hanno speso di più nell’ultimo anno per il crypto lobbing.

Cosa succederebbe se gli USA vietassero il possesso e l’uso di criptovalute?

Cosa potrebbe succedere se tutti questi tentativi di influenzare le politiche nel settore delle criptovalute non portassero i risultati attesi e se invece gli Stati Uniti d’America vietassero l’uso e il possesso di criptovalute?Questo è un tema molto delicato a cui non è possibile dare una risposta secca.

Diciamo che esistono forze in contrapposizione sull’ipotetico
ban delle crypto negli USA. Mentre le attività dei lobbisti proseguono per il loro percorso, ci sono  politici americani, come ad esempio la senatrice Elizabeth Warren,  che hanno esplicitato pubblicamente la loro volontà di eliminare dal panorama finanziario tutti i generi di criptovalute.

Sicuramente possiamo affermare che se le crypto venissero bandite negli USA, si genererebbe una
grande sensazione di sconforto a livello mondiale. Infatti gli Stati Uniti rappresentano uno dei poli economici più importanti al mondo, e numerose altre nazioni seguono di pari passo le loro direttive e le loro decisioni politiche.

Questo potrebbe essere un
grosso problema per gli exchange di criptovalute americani come Coinbase, che dovrebbero annullare tutte le proprie attività nel paese ed eventualmente valutare il trasferimento all’estero. Paesi poco sviluppati economicamente come ad esempio El Salvador rappresentano una zona in cui le regolamentazioni vanno a favore del settore crypto.

Il Self Custodial come alternativa

Proprio pochi giorni fa, il presidente del paese centro-americano, Nayib Bukele ha annunciato che verrà rimossa tutta la tassazione relativa all’innovazione tecnologica (compreso tutto ciò che ruota attorno a Bitcoin) per favorire la crescita economica del Paese.

Rimane comunque, almeno per ora, solamente un incubo lontano dalla realtài. Infatti, i business degli exchange come Coinbase proseguono a gonfie vele e non ci sono pericoli evidenti da cui dover trovare immediatamente soluzioni. Le attività di lobbying, in tal senso, servono proprio per fare in modo che il ban delle crypto resti solo un lontano miraggio.

C’è da considerare poi che, anche nel caso gli USA vietassero veramente la proprietà e lo scambio di criptovalute, e gli exchange come
Coinbase dovessero cessare le proprie attività, rimane comunque valida l’alternativa del self custodial e dell’anonimato.

Bitcoin infatti è stato costruito proprio per essere
resiliente alla censura, rendendo impossibile replicare  quello che fece  il presidente Roosevelt il 5 aprile 1933, quando emanò l’ordine esecutivo 6102 in cui veniva proibito il possesso di oro per preservare la stabilità del dollaro. L’oro digitale Bitcoin, in tal senso, è al sicuro e lo rimarrà per sempre se custodito tramite wallet personali.

Alessandro Adami
Alessandro Adami
Laureato in "Informazione, Media e Pubblicità", da oltre 4 anni interessato al settore delle criptovalute e delle blockchain. Co-Fondatore di Tokenparty, community attiva nella diffusione di crypto-entuasiasmo. Co-fondatore di Legal Hackers Civitanova marche. Consulente nel settore delle tecnologie dell'informatica. Ethereum Fan Boy e sostenitore degli oracoli di Chainlink, crede fermamente che in futuro gli smart contract saranno centrali all'interno dello sviluppo della società.
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